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Moda e fotografia: Alessandro Calabrese per la collezione MSGM
Moda
“Il filo nascosto” è la rubrica dove intervistiamo creativi al lavoro nel mondo della moda, esaminando le dinamiche delle collaborazioni nate dall’incontro di questi due mondi sempre più vicini. Dopo aver parlato con Giulio Margheri della collaborazione OMA x Prada e con Francesca Fabbri di Akomena per il progetto Hand in Hand con Fendi, abbiamo incontrato un altro creativo impegnato in stretto contatto con la moda: Alessandro Calabrese, che ha collaborato con MSGM per la collezione Autunno/Inverno 2021. Alessandro Calabrese, classe ’83, è un fotografo ormai affermato e docente presso la NABA di Milano e l’Accademia di Belle Arti di Bergamo. Uno dei suoi ultimi progetti è CONDOMINIO, uno spazio co-sharing dedicato alla fotografia contemporanea e alla image culture.
CONDOMINIO
L’obbiettivo di CONDOMINIO è creare un dialogo fra artisti, curatori, gallerie, publisher e appassionati di arte contemporanea e fotografia. La prima mostra ospitata dallo spazio, “ITALIA90”, arriva dopo una open call lanciata ad aprile 2020 e rivolta a tutti gli artisti nati dopo il 1 gennaio 1990. Questo progetto vuole colmare un vuoto nei piani di un’Italia in ripartenza. La scarsità di istituzioni in grado di mostrare l’operato di giovani fotografi e artisti rende fondamentalo lo sviluppo di progetti del genere, che danno la possibilità di emergere anche alle nuove generazioni, con il supporto di quelle precedenti.
La collaborazione con MSGM
Alessandro Calabrese ha collaborato alla collezione Autunno/Inverno 2021 MSGM portando il suo lavoro fotografico a dialogare con gli abiti pensati da Massimo Giorgetti. Il Digital Fashion Show, filmato al Teatro Manzoni di Milano e diretto Francesco Coppola, si prefigge di presentare il progetto avviato insieme a Gea Politi – autrice di Manifesto, la canzone parte dell’album Club Domani di Sergio Tavelli e Andrea Ratti.
Alessandro Calabrese ha creato le stampe per questa collezione che apre le porte alla voglia di tornare a vivere le città, prima fra tutte Milano. Il centro nevralgico dell’ispirazione di MSGM per la prossima stagione.
Il tuo percorso è ricco di esperienze. Da dove inizia la tua carriera come artista? Com’è nato il tuo amore per la fotografia?
«Il mio percorso accademico inizia allo IUAV di Venezia dove ho studiato Architettura, ed è stato proprio lì che ho iniziato a interessarmi di fotografia. C’era un corso, nella facoltà di Arti Visive, tenuto da Guido Guidi e io riuscivo sempre ad intrufolarmi. Da lì spiavo le sue lezioni che rimangono tutt’oggi un riferimento assoluto, per quanto il mio approccio si distacchi ormai molto dal suo. La cosa che mi ha sempre affascinato di Guidi è la mancanza di un progetto per così dire narrativo, aspetto del suo operato che è riuscito a influenzarmi moltissimo nel mio percorso di artista. Il racconto, in fotografia, non mi è mai interessato.
Poi mi sono spostato alla NABA di Milano per un Master in Fotografia dove il campo d’azione, semplificando, era ancora quella del paesaggio. La scuola di Viaggio in Italia, Luigi Ghirri in primis– per esempio – e molte altre personalità importanti della fotografia che ho incontrato, di persona o meno, nel mio percorso hanno partecipato alle mie influenze. Al tempo stesso il tema del paesaggio, almeno nella mia testa, si era un po’ esaurito, cosa che mi ha portato fin da subito a tentare nuove via, sperimentando. Il mio è un approccio più improntato alla fotografia usata per riflettere sulla fotografia stessa. Molto più legata alla grammatica del linguaggio che all’utilizzo di questa per appunto raccontare qualcosa».
Le tue influenze sono varie e si fondano sulla fotografia italiana più tradizionale. Come sei riuscito a sviluppare il tuo punto di vista personale sulla fotografia?
«In un certo senso credo che sia accaduto tutto per reazione, anche se molto lentamente. Come detto sono cresciuto culturalmente in un contesto dove il paesaggio, sia in termini architettonici che fotografici, era il centro attorno al quale “pivottava” tutto il discorso teorico della mia ricerca. Una volta iniziato ad inserire nell’equazione gli altri miei interessi, artistici o letterari, che fino ad allora per ingenuità avevo sempre tenuto separati, il quadro mi si è allargato e ho capito su cosa focalizzarmi davvero. Da quel momento si sono susseguiti una serie di lavori che concettualmente miravano ad interrogarsi sullo stato dell’immagine nel contemporaneo e che da un punto di vista estetico tendevano a decostruire la fotografia, per comprenderla, piuttosto che a realizzarla seguendo pratiche consuete. Suonerà un po’ arrogante ma è raro che mi interessi una fotografia da un punto di vista estetico, perché normalmente troppo semplice da risolvere, mi interessa invece che sia sfidante a livello di intelligibilità oppure che abbia valore a livello di documento storico. Questo ovviamente oggi, nel 2021, ma cambio spesso idea».
Sei co-founder di Condominio, uno spazio dedicato alla fotografia contemporanea e alla image culture. Com’è nato il progetto?
«Condominio è un progetto nato casualmente. Ho conosciuto Matteo Garzonio qualche anno fa, nell’estate del 2019 mi aveva parlato del suo progetto di usare uno spazio che aveva a disposizione per aprire una galleria dedicata alla fotografia. Questo progetto, anche con l’arrivo di Desiree Mele si è poi trasformato negli ultimi mesi in Condominio in Via Melchiorre Gioia 41, una realtà più ibrida rispetto alla tradizionale galleria commerciale dove ospitiamo mostre, workshop e in futuro speriamo molto altro. E’ un luogo dove devono “accadere” le cose.
Da tempo avevo il desiderio di fare qualcosa per qualcun altro solo che non sapevo da dove iniziare, con l’open call ITALIA 90 abbiamo iniziato dai più giovani. In un certo senso l’idea della mostra è nata da un senso di colpa, ovvero che a mio parere io e alcuni miei colleghi negli ultimi anni abbiamo ricevuto una discreta attenzione per i nostri lavori, che in un certo senso hanno un pochino spostato, o forse sarebbe meglio dire ampliato, la direzione di quella che è sempre stata la fotografia italiana, anche portandola ad inserirsi più spesso nel circuito dell’arte contemporanea. Questo ha fatto sì che il sistema finisse per saturarsi un po’, di conseguenza io per primo mi sono chiesto chi stesso arrivando dopo di noi ma non sapevo rispondermi, ecco il perché dunque della open call e successivamente della mostra, per scoprire e al tempo stesso per fare un po’ di spazio al nuovo che avanza».
Parliamo di moda. Hai collaborato con MSGM per la collezione autunno inverno 2021. Come ti sei trovato a lavorare nel mondo della moda?
«È stata una grande sorpresa per me essere invitato a partecipare a questa collezione. L’esperienza è stata breve ma sicuramente intensa e positiva. Stare a stretto contatto con il mondo della moda è stato molto interessante perché mi ha permesso di vedere come lavorano altri mondi creativi da molto vicino. La parte più interessante e nuova, per me, è stata quella di dover rispondere a delle richieste. Il dover mediare attraverso le mie immagini, per esempio. Ammetto che prima di collaborare con MSGM, quello che sapevo sul mondo della moda era davvero poco. Ora la situazione non è cambiata poi molto però sicuramente ci presto più attenzione. Da un certo punto di vista ho ritrovato dei punti di contatto col mondo dell’architettura dal quale provengo. In linea generale poi, per quanto forse sia un caso raro il cui merito è tutto da imputare a Massimo Giorgetti e Gea Politi, è molto rassicurante che una casa di moda si affidi a figure come la mia dando completa libertà nelle idee e nei contenuti».
Guardando il tuo profilo Instagram è impossibile non notare la tua passione per il colore e la dimensione del digitale. Che cos’hai portato di tuo nella collaborazione con MSGM?
«Il lavoro che ho fatto con MSGM è stato un lavoro a metà tra l’autoriale e il commissionato, quindi la base era quella del mio lavoro, però la rielaborazione è stata fatta ad hoc. Le mie idee sono state accolte positivamente fin da subito ed è stato molto gratificante. La cosa che mi ha stupito è stato l’interesse per l’immaginario più che per le immagini singole, tant’è che alla fine sono state usate anche immagini che per me non sono prettamente lavoro o ricerca, ma corredo, riferimento, mood. Insomma mi è stata trasmessa una sensazione di libertà che ha forse superato quella che normalmente riservo a me stesso.
Riguardo Instagram non ho un’opinione precisa, fino all’anno scorso non mi piaceva usarlo come vetrina del mio lavoro, mentre ora, anche causa lockdown, ho iniziato a caricare del materiale anche lì, sempre senza prendermi troppo sul serio, cercando di mischiare con cose più effimere. In passato ero totalmente selvaggio, ora ho scoperto le storie quindi sature quelle».
Ci sono nuovi progetti all’orizzonte?
«Sì, la mia ricerca si è in un certo senso scissa. Continuo con progetti ancora legati al linguaggio fotografico, come l’ultimo che sto costruendo ora e che comporta la stampa, di alcuni specifici soggetti prelevati dalla rete, letteralmente sul retro della carta fotografica, dove l’immagine non si fissa andando a creare qualcosa di molto pittorico. Insomma in questo periodo sono piuttosto interessato a come si crea un’immagine.
Al tempo stesso devo ammettere che in questo momento lavorare soltanto con le immagini flat e statiche mi ha un po’ stancato quindi sto cercando di portare avanti un lavoro più multimediale, che prevede l’utilizzo anche di video, sculture, scrittura, insomma qualcosa di più articolato che prevede anche l’aiuto di bandi e istituzioni. Il fine ultimo poi è la mia prossima personale. Il lavoro, in estrema sintesi, vuole essere una riflessione sull’utilizzo delle immagini nella rappresentazione della tragedia nell’arco dell’ultimo ventennio, che si apre appunto con gli eventi del World Trade Center di New York e in un certo senso si chiude con l’epidemia da COVID-19 nella quale ci troviamo ora.
Ci sono moltissimi punti in comune, per similitudine o per contrasto, tra i due eventi che sto indagando e trasformando in una serie di opere. Spero di potertene parlare nuovamente presto».