Nacque l’11 febbraio 1930 a Blackheath, da una famiglia di professori universitari londinesi, e studiò illustrazione alla Goldsmiths University. Poi la fuga di casa, all’età di 16 anni, con Alexander Plunket Greene, suo futuro marito, nipote di Bertrand Russell e discendente di una famiglia aristocratica. Da lui riceve l’aiuto necessario ad aprire la sua boutique, Bazaar, in Kings Road, nel 1955. Qui iniziò a vendere abiti che trovava in giro per la città o acquistava da grossisti. La delusione per l’offerta che allora la moda offriva la portò a mettersi in gioco come modellista e stilista. Questo è l’inizio della vita di Mary Quant, figura chiave e rivoluzionaria della moda femminile a partire dal Secondo Dopoguerra, scomparsa il 13 aprile 2023. La boutique diventò presto un luogo di ritrovo della Londra Bohemienne: vi si potevano comprare capi aggiornati con le tendenze della strada, ascoltare buona musica e bere un drink.
Tra Biba di Barbara Hulanicki, John Stephens a Carnaby Street, e Bazaar si sviluppa la rivoluzione pop degli anni ‘60. Ci si possono trovare i Beatles, gli Stones e Bowie, Anna Wintour e Brigitte Bardot. Se Parigi è ancora la capitale della couture, Londra si impone come culla della moda young. Un luogo brulicante di giovani e con un’economia fiorente che si trasforma in un fulcro d’ispirazione per il resto del mondo.
La musica diffonde le idee, la moda le traduce in nuove estetiche. Tra le strade le note di Revolver dei Beatles. Ragazzi coi capelli lunghi e pantaloni larghi. Ragazze dai tagli asimmetrici alla Sassoon (il preferito di Mary) o alla maschietta, introdotti da Leonard of Mayfair e poi adottati dalla supermodella Twiggy e dall’attrice Mia Farrow. E i vestiti, sempre più corti. E nel ‘63 il lancio della minigonna, proprio nel Bazaar di Mary.
«Né io, né Courrèges, abbiamo avuto l’idea della minigonna. Sono state le ragazze della strada ad inventarla». Così Mary Quant, intervistata riguardo alla maternità dell’indumento che ha rivoluzionato la moda femminile a partire dagli anni ‘60, liquidava la querelle con lo stilista francese. E verrebbe da dire che in fondo tutto cambia per restare uguale. Lo streetwear è dove tutto inizia perché la povertà è sorella del genio. Lo sa bene Demna Gvasalia, lo sapeva altrettanto bene Mary, attenta osservatrice della cultura dei giovani degli ultimi anni ‘50. Ballerini, musicisti e Mods (abbreviazione per modernists) che bazzicavano Chelsea e la King’s Road le ispirarono una visione della moda che coniugasse lo chic, il comfort e la praticità. E furono proprio le giovani inglesi reduci dalla Seconda Guerra Mondiale, desiderose di scrollarsi di dosso la polverosa e grigia patina di polvere che si era posata sulle loro spalline, ad accogliere le innovazioni della Quant.
Mini come la sua auto preferita. Sebbene il lancio di una linea di vestiti con l’orlo sopra il ginocchio si può far risalire ufficialmente alla fine del 1963, vestiti peraltro strumentali a far arrivare la minigonna al mercato di massa, già dall’inizio degli anni ‘60 Mary Quant era solita indossare una gonna sportiva che rasentava il ginocchio. Fu la sua posizione di ambasciatrice e la sua crescente influenza nei media a far giocare alla Quant un ruolo centrale nella diffusione della mini.
Hot Pants, maglioni skinny rib, reggiseno booby trap. E poi le sperimentazioni con il PVC tra effetto bagnato e indumenti antipioggia. Il pantalone fatto diventare sinonimo di stile anche per il guardaroba femminile. E, infine il jersey dress, un’altra rivoluzione di cui i nostri armadi sono ancora testimoni. Chi del resto non ha almeno un maglione di jersey? Fu la Quant per prima a capirne le potenzialità per l’outerwear e a proporlo in centinaia di vestiti in colori e design diversi. Anche in questo caso Mary se ne fece ambasciatrice, indossando un vestito navy color crema durante la cerimonia in cui ricevette l’onorificenza di Ufficiale dell’Impero Britannico dalla Regina.
L’apporto pionieristico di Mary ha coinvolto trasversalmente il mondo della moda, ma anche dell’imprenditoria, con la creazione di una linea di indumenti più economica, la produzione di cosmetici, di calzature e persino una linea di bambole. Il tutto testimoniato nella sua autobiografia Quant by Quant e nella mostra al Victoria & Albert Museum di Londra, una retrospettiva che ne ha ripercorso gli anni dal 1955 al 1975.
La mostra ha proposto la più grande collezione pubblica di abiti Quant al mondo, ma anche accessori, cosmetici, disegni e fotografie. E ancora le bambole Daisy, rivali di Barbie, biancheria e abiti dal taglio rivoluzionario e divertente. Una vera consacrazione al genio versatile e pop di Mary, che ha segnato la scena della Swinging London. Di swinging, oltre agli anni, ci sono stati i diritti, le questioni sul genere e sulla libertà e Mary Quant ha saputo dare il suo contributo fondamentale, verso un mondo più giocoso, più fluido, più libero. Senza di lei probabilmente la moda più minimalista non avrebbe visto la luce e certamente Miuccia Prada non sarebbe potuta scendere a protestare in piazza in minigonna.
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