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Vita e opere (fashion) di Pharrell Williams, nuovo direttore creativo Louis Vuitton
Moda
di Marco Marini
Dopo una manciata di collezioni affidate all’ufficio stile interno, affiancato, in occasione dell’ultima sfilata autunno/inverno 2023-24 (presentata qualche settimana fa a Parigi) dall’astro nascente della moda Usa Colm Dillane (KidSuper), Louis Vuitton ha finalmente svelato il nome del successore di Virgil Abloh alla guida del menswear della griffe. La notizia è destinata a scuotere in profondità il fashion system, vista la caratura del personaggio: a raccogliere il testimone del designer di Chicago che, in pochi anni, aveva trasformato l’uomo del marchio nell’epitome della coolness globale, sarà infatti nientemeno che Pharrell Williams. Ad annunciarlo, un tweet comparso ieri sull’account ufficiale della maison, cui è seguito a stretto giro il comunicato, che definisce il neodirettore artistico del prêt-à-porter maschile «Un visionario i cui interessi creativi abbracciano la musica, l’arte e la moda. Si è affermato come icona culturale universale negli ultimi due decenni. La sua capacità di abbattere i confini tra i diversi mondi che esplora si sposa in modo naturale con la dimensione culturale di Louis Vuitton, rafforzandone i valori di innovazione, spirito pionieristico e imprenditorialità».
La descrizione, in effetti, coglie il punto: parliamo del novello re Mida della scena musicale moderna, che dagli anni ‘90 ha esplorato in lungo e largo vestendo i panni, contemporaneamente, di interprete di hit da milioni di ascolti come Blurred Lines o Happy, produttore, compositore, collaboratore d’eccezione di svariati mostri sacri dello showbiz, da Madonna a Rihanna, da Jay-Z a Jennifer Lopez, inanellando numeri monstre e una sfilza di riconoscimenti, ad oggi tredici Grammy, sei Billboard Music Award e due Bet Awards, senza contare le due candidature agli Oscar e quella ai Golden Globe per Happy e la colonna sonora de Il diritto di contare (film che ha anche prodotto). Un cursus honorum impressionante, che da ora in poi sarà dunque arricchito da una nuova voce, quella di stilista di un’autentica istituzione della couture francese.
A ben vedere, tuttavia, il suo approdo ai vertici di Vuitton è un’operazione più lineare di quanto non appaia: sperimentatore indefesso, Williams fa da sempre della poliedricità la cifra inconfondibile di una creatività feconda, dirompente, bulimica, refrattaria a confini e distinzioni di sorta, estesasi in tempi non sospetti proprio al dorato regno della moda con la M maiuscola. Habitué delle sfilate parigine (ultimamente, ad esempio, è una presenza fissa ai défilé di Kenzo, marchio guidato dall’amico Nigo), ha co-fondato le etichette Billionaire Boys Club e Ice Club, con cui si è impegnato a “elevare” il cosiddetto streetwear ben prima che diventasse una parola d’ordine per addetti ai lavori, multinazionali del lusso e fashionisti di ogni dove. È soprattutto nelle collaborazioni con altri big del settore, però, che dà libero sfogo alla sua verve sincretica. Una delle prime, in questo senso, coinvolge nel 2008 proprio il brand di cui ha appena assunto le redini creative, per cui firma una collezione di gioielli in oro bianco, giallo e pietre preziose, monili sui generis tra i quali brilla – letteralmente – il pezzo forte della serie, un anello dalle fattezze di un cherubino che regge tra le mani un diamante.
Due anni dopo, è la volta di Moncler, che gli dà l’opportunità di mettere a frutto la voglia di sperimentare, di sparigliare stilisticamente le carte di cui sopra: per il marchio dei piumini colorful, Williams realizza un paio di occhiali da un unico pezzo di titanio e il gilet “Bullet proof vest”, confezionato in una fibra riciclata prodotta dalla start-up Bionic Yarn, di sua proprietà. Col brand di Remo Ruffini torna a collaborare per il settantesimo anniversario, rilasciando lo scorso novembre un’edizione limitata del piumino Maya, modello primigenio dell’azienda, reinterpretato attraverso l’impiego di una gomma dalla finitura opaca e l’utilizzo ripetuto del logo, in versione XXS, sulla superficie del capo.
Altra partnership eccellente, e ormai consolidata, è quella che lega il produce e musicista americano a Chanel: fan di lunghissimo corso della maison (lieta di personalizzare, in esclusiva per lui, i pezzi emblematici della casa, dai tailleur in tweed alle celeberrime bag in pelle matelassé), Karl Lagerfeld in persona, dominus incontrastato del marchio fino alla sua scomparsa, quattro anni fa, non faceva mistero di apprezzarne l’inventiva, la capacità di rompere gli schemi, tanto da volerlo come protagonista di Reincarnation, video introduttivo della collezione Métiers d’art 2014/15, modello per la sfilata 2016/17, testimonial della borsa Gabrielle, nel 2019 perfino co-designer di una capsule collection, circa quaranta proposte tra ready-to-wear e accessori, tutte in cromie energiche. Collaboratore abituale di Adidas (ha contribuito al rilancio globale delle mitiche sneakers Superstar), nel 2017 riesce perfino a unire il colosso dello sport tedesco e la griffe della doppia C, convogliandone i codici estetici in un paio di trainer, le Human Race Nmd Pharrell x Chanel, vendute in esclusiva nel concept store Colette e, nemmeno a dirlo, esaurite in tempi record.
A guidare le sue incursioni nel fashion world sono soprattutto ricerca costante e sostenibilità, qualità che contraddistinguono sin dagli esordi l’esperienza con G-Star Raw, label di denim luxury di cui è co-proprietario e «head of imagination», titolo che ben si confà alla vena immaginifica di un creativo multisfaccettato del suo calibro, appassionato da sempre della moda che, confidava nel 2015 al Corriere della Sera, lo ha attratto fin da ragazzino, sebbene sia convinto che «l’individualità è cool, batte ogni altra considerazione». Per conoscere il prossimo step della sua lunga, prolifica liaison con l’universo modaiolo, non resta che attendere la Paris Fashion Week maschile di giugno, quando verrà presentata la prima collezione Louis Vuitton Men a firma Pharrell Williams.