Alla sua terza mostra personale da A+B Gallery, accompagna da un testo di Gabriele Tosi, Max Frintrop concretizza, pittoricamente, un nuovo equilibrio muovendosi tra pieni e vuoti, accumulazione e sottrazione, rigore e fluidità. Tranquillizza l’occhio, il percorso espositivo curato, non senza un’accurata e ricercata dose di pazzia, anticipata anche dal titolo, che rende l’insieme molto interessante.
Nella mostra “Mad Max” Frintrop espone una nuova serie di lavori, per lo più di medio-grande formato, insieme a un’edizione di dieci acquerelli inediti, origine del processo di sperimentazione che nasce, appunto, direttamente sulla carta per poi essere trasposto su tela con un’altra tecnica.
Allievo di Albert Oehlen, Max Frintrop ha iniziato la sua carriera intorno al 2010 con un’attitudine scultorea attraverso la quale applicava, tridimensionalmente, alla pittura spontanea, elementi costruttivisti. Nella fase di mezzo, mentre l’anima scultorea spingeva la matrice costruttivista nella dimensione dell’installazione su larga scala, determinante nella definizione dello spazio, l’anima pittorica iniziava a ridursi ai colori primari, nella loro tinta più accesa. Dopodiché Frintrop inizia a scomporre il colore, a sciogliere il segno e, attraverso l’uso di additivi, a disgregare il gesto, riducendolo e, al contempo, portandolo all’estremo.
Nella sua continua indagine, nonché gioco, con il concetto di spazio, Frintrop reitera un gesto nella manualità e nei colori acrilici variandolo solo in termini di additivi. Non dunque la creazione di confini spaziali bensì, così, egli crea all’interno della gestualità una profondità che va a coincidere con quello che è il suo sentimento, la sua restituzione della sensibilità personale. Nelle tele in mostra emerge una forte, benché sottile e intima, relazione tra pieni e vuoti, scandita da elementi che si stagliano come archetipici. Frintrop sporca la tela in partenza, manualmente con un nebulizzatore, creando fondi su cui, contrariamente alla passata somma dei gesti l’uno sull’altro, sceglie di lavorare con pennelli scarichi creando, all’interno del suo luogo – la tela – delle tracce. Non è più e non è soltanto, dunque, una sovrapposizione coloristica, ma è una vera e propria creazione di luoghi entro cui avvengono, chimicamente parlando, delle situazioni: gli addittvi, avendo caratteristiche diverse, contribuiscono a lasciare dei solchi. È così, ed è a questo punto, che la tensione tra pieno e vuoto diventa dinamica, pur non sradicandosi dal suo passato originario mantenendo la presenza di alcuni elementi formalmente più rigorosi. La tensione tra pieno e vuoto si sparge a più livelli: sempre volta all’equilibrio essa si trasforma in rigore e fluidità fino a farsi, definitivamente, spontaneità e costruzione. Ed è proprio la tensione il luogo prediletto da Frintrop per le sue indagini, il luogo ove, magistralmente, a una maggiore e spontanea fluidità fa corrispondere elementi di ispirazione costruttivista più rigorosi nella forma.
La tela “Mad Max” è emblematica: a ben guardarla, rispondendo all’attitudine della nostra mente che cerca di identificare per conoscere, sembra che da un elemento principe, molto semplice, solido e di peso, alla base della tela, il gesto prenda vita e slancio in molteplici direzioni. Nella tensione tra spontaneità e costruzione Frintrop inserisce sempre un elemento, come fosse di necessità dettata da un’esigenza pratica, ogni volta sempre diversa, che è la dinamicità. Il percorso espositivo prosegue mostrando opere che lavorano molto sull’aspetto della spontaneità.
Una spontaneità che rintracciamo, sempre in crescendo, avvicinandoci all’origine di tutti i lavori di Max Frintrop: i lavori su carta. Le carte sono infatti il luogo primario in cui lui si immerge, facendone centinaia e selezionando le migliori, da un punto di vista del colore, del materiale o dell’innovazione. Qui lo sviluppo successivo della sua idea diventa azione nella forma di creazione della tela. Qui è il riferimento specifico e più intimo alla spontaneità, sempre misurata da un perfetto equilibrio tra concretezza e leggerezza. Accanto alle carte, tre opere rimarcano la capacità di Frintrop di differenziare, la capacità all’eclettismo e al contempo alla riconoscibilità. Dall’accentuazione del vuoto si raggiunge un’innovazione che sembra abbracciare, visivamente, il mondo del suono. Non sembra forse un contemporaneo pentagramma da cui musicalità e diffusione del suono, appunto, emergono dinamiche liberando fiato?
“Mad Max” ci abbraccia con leggerezza, è elegante, raffinata, concreta e leggera. Così leggera da riuscire a restare sospesa, tra terra e cielo, tra legge morale e cielo stellato, all’altezza della nostra percezione, in quel punto preciso in cui non siamo interessati a sapere cosa sia perché il gesto definitorio di Frintrop non è decorativo ma unico nella sua azione. E, cromaticamente carico, spontaneo.
Tendiamo a dimenticarlo, ma “Mad Max” ce lo ricorda, spontanea è ogni azione che abbraccia il mondo.
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