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A Palazzo Collicola di Spoleto, l’impronta del disegno di Giuseppe Penone
Mostre
di Alberto Fiz
Troppo spesso si tende a prendere il disegno sottogamba, come se fosse figlio di un dio minore dimenticando che i cari, vecchi fogli, confessano le cose segrete al di fuori di ogni forma di ufficialità. Per questo, in un sistema sempre più omologato, alla ricerca di facili effetti spettacolari, la mostra proposta sino al 7 novembre da Palazzo Collicola di Spoleto intitolata, senza fronzoli, “Giuseppe Penone: Disegni”, a cura del direttore del museo Marco Tonelli, rientra nell’ambito di una rigorosa metodologia filologica e scientifica. Si tratta, infatti, di un unicum, almeno in Italia, dove non si era mai realizzato un progetto di questo tipo. E all’estero bisogna risalire al 2007, l’anno in cui le opere su carta di Penone sono state proposte in una personale al Drawing Center di New York.
A Spoleto, la rassegna promossa dal Festival Dei Due Mondi, presenta 40 lavori su carta (non manca un gruppo di fotografie) che spaziano dalle testimonianze del ciclo Alpi Marittime del 1967 sino a Corpi di Pietra-Le Foglie della Pelle del 2014 in un excursus da cui emerge il ruolo fondamentale del disegno nell’indagine di Penone che lo utilizza come fonte d’ispirazione, come “mezzo indispensabile all’idea, al linguaggio, all’invenzione dell’immagine” secondo quanto lui stesso afferma. A ben vedere, disegno e scultura vanno incontro ai medesimi meccanismi quali il contatto o le impronte secondo un processo di modellazione che affonda le radici nel segno primario.
Sono numerosi gli intrecci metamorfici offerti dalla mostra che analizza il disegno nelle sue differenti declinazioni. Non solo, dunque, progetto di scultura, ma autonoma forma d’ispirazione, meccanismo di appropriazione o, in altre circostanze, opera conclusa in sé: “La pratica del disegno”, spiega Penone nell’intervista con Francesco Guzzetti pubblicata nel catalogo concepito da Magonza come un vero e proprio album, “non è soltanto progettazione dell’opera, ma è qualcosa che va oltre, perchè visualizza l’opera nello spazio, visualizza le diverse possibilità che ha l’opera e può anche suggerire una nuova opera, perchè ci possono essere aspetti non considerati che appaiono facendo il disegno, di cui ti puoi appropriare”.
In questo ambito, sono molte le scoperte e le invenzioni realizzate solo sulla carta che per qualche strano scherzo del destino non hanno assunto forma tridimensionale come Sale, il progetto per una scultura all’aperto del 1968 dove la scrittura di sale che doveva comparire in un prato verde, avrebbe modificato lo sviluppo del terreno impedendo all’erba di crescere.
Non vanno dimenticati nemmneo i disegni necessari per comprendere la forma della scultura secondo quanto accade per Gesti vegetali dove le linee danzanti, come ideogrammi, occupano lo spazio e diventano l’elemento germinale della creazione. Carboncino, pigmento, inchiostro, sanguigna, frottage, sono solo alcune delle tecniche utilizzate da Penone che in oltre cinquant’anni ha dato vita ad un corpus di ben 4 mila disegni che ripercorrono il suo iter creativo. Ben pochi di questi sono finiti sul mercato e proprio nel 2020 centinaia sono stati donati dall’artista al Philadephia Museum of Art, al Centre Pompidou e al Castello di Rivoli.
“Il disegno inteso come disegno interno e originario è per Penone un fatto essenzialmente linguistico”, scrive Tonelli nel suo saggio in catalogo che dedica specifica attenzione alla relazione con il testo che per l’artista diventa parte integrante della composizione “una forma alternativa e insinuante, un disegnare scrivendo e pensando”. Il flusso del pensiero passa attraverso la calligrafia sottile, quasi impercettibile, che s’intrufola negli anfratti della natura per diventare corteccia, come avviene in Progetto per aderire agli alberi. Una poetica spesso sussurrata all’orecchio del visitatore che ritrova nella scrittura ciò che l’immagine evoca: Sulla pelle delle dita il disegno del suono.