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A Parigi tutto sulla fotografia e l’immagine in movimento dell’Arte Povera
Mostre
“Renverser ses yeux. Autour de l’arte povera 1960-1975“, un duplice percorso con 250 opere tra fotografia, film e video di 49 artisti dell’Arte Povera, ma anche tanta documentazione, libri e manifesti, al Jeu de Paume e a Le Bal di Parigi. Lanciata dal critico Germano Celant nel 1967, che la definiva una libera espressione che avvicina arte e vita, questa corrente artistica è protagonista di uno degli eventi di maggiore richiamo della stagione artistica parigina.
Il titolo rimanda all’opera di Giuseppe Penone Rovesciare i propri occhi (1970), presente in diverse versioni in questa mostra itinerante che si articola lungo quattro sezioni tematiche. Le Bal, noto spazio espositivo dedicato all’immagine-documento, accoglie la sezione “Corpo”, intorno all’identità e al ruolo dell’autore, mentre il Jeu de Paume ospita “Esperienza”, sul rapporto con il tempo e lo spazio, “Immagine”, ossia decostruire la fotografia, e “Teatro”, che esplora la dimensione performativa.
Cosa ha di particolare questa mostra? È un focus unico sull’opera fotografica, filmica e video dell’Arte Povera, calata nel contesto politico e culturale in cui si è sviluppata. Si tratta di una produzione meno conosciuta nonostante le diverse esposizioni dedicate a questa corrente artistica, in Francia come altrove. Gli artisti iniziarono a usare fotografia e immagini in movimento per esplorare la vita più da vicino e in modo sperimentale, restituendo una creazione ricca e sorprendente. Un movimento artistico che, se da una parte contesta l’onnipresenza della televisione e dell’immagine pubblicitaria manipolatrice, dall’altra usa materiali e supporti semplici, rivendica gesti arcaici e cultura popolare, guarda alle manifestazioni fisiche degli elementi naturali come all’ambiente urbano.
Se le loro opere sono dunque una critica diretta alla società dei consumi, sono anche la risposta italiana alla Pop Art e alla scena concettuale. I supporti tradizionali si trasformano, vedi la tela che diventa specchio in Michelangelo Pistoletto, qui con opere diverse come Le orecchie di Jasper Johns (1966), una fotografia prodotta su uno specchio, che copre parte del volto dell’artista statunitense: lontano dalla logica seriale della Pop Art, lo spazio vuoto riflette l’ambiente circostante in un continuum narrativo.
Entrare nell’opera (fotografia a getto d’inchiostro su tela, 1971) di Giovanni Anselmo coglie invece in uno scatto l’istante poetico che rivela la connessione tra l’uomo e il cosmo. Piero Manzoni, che ridefinisce la figura dell’artista nel consumismo utilizzando i modelli della pubblicità e della stampa, qui è presente, tra l’altro, con Base Magica-Scultura Vivente (copia), un piedistallo che firmava come il corpo delle modelle che vi posano come sculture. Rovesciare i propri occhi (diapositive, 1970) e Svolgere la propria pelle (1970, foto-collage) di Giuseppe Penone sono emblematiche di questo percorso. Perché? È un lavoro sullo sguardo, in cui è l’iride è coperta.
L’artista si fa fotografare indossando lenti a contatto specchianti che riflettono l’ambiente circostante e la sua discontinuità, ciò che rimanda a una immagine che non vuole essere mera riproduzione o contemplazione ma narrazione della realtà. L’Arte Povera sfrutta lo spazio pubblico per provocare, esporre e creare, dove l’estemporaneità dell’arte contrasta con gli enormi cartelloni che tracciano prospettive urbanistiche disorientanti. Vedi Mario Cresci, che immortala la Manifestazione di protesta dei terremotati siciliani, (Roma, 5 marzo 1968) contro la passività dello Stato. Tuttavia, per errore usa al contempo due rullini che, sovrapposti, restituiscono una serie unica con tutto lo spessore sociale e politico della rivolta, dove l’accidentale pone uno sguardo nuovo sulla storia. Mentre Michele Zaza in Simulazione d’incendio (1970) provoca l’accidentale creando disordine tra i passanti. Molto presente Ugo Mulas, con le Verifiche, i ritratti di artisti, o L’attesa (1964), in cui ritrae Lucio Fontana che,davanti alla tela, “mette in scena” il mitico taglio. Troviamo poi il video come archivio, con Luciano Giaccari che ha filmato le performance di Luciano Fabro, Franco Vaccari o del giapponese Hidetoshi Nagasawa, ma anche quelle del gallerista tedesco Gerry Schum.
E le donne? Elisabetta Catalano, Marisa Merz, Laura Grisi, Giosetta Fioroni e Ketty La Rocca, sono le cinque artiste presentate ma, soffermandosi, ce ne sono ben altre. Quali tematiche sviluppano queste neoavanguardiste? Si va dalla codificazione di nuove gestualità e ritualità, al catalogare la natura e i suoi elementi, e non solo. A Le Bal c’è Ketty La Rocca con Appendice per una supplica (video, 1972), su uno sfondo nero inquadra dei gesti delle mani elaborando una nuova poetica del linguaggio, come in Le mie parole (1972), una serie di fotografie in cui ritrae altre gestualità, clin d’œil forse anche alle arti manuali. Al Jeu de Paume, in “Esperienza”, c’è Marisa Merz con La Conta (video, muto, 1967), dove l’artista pone, ritualmente e pronunciando uno a uno, dei fagioli dalla scatola a un piatto, ma “la sua voce non si sente”. La donna è confinata nella cucina che, però, trasforma in atelier – si intravedono opere dell’artista stessa. L’artista probabilmente non aveva un atelier nella casa che condivideva con Mario Merz, suo marito. Di Laura Grisi è La misurazione del tempo (1969, pellicola 16 mm, bianco e nero, audio, 5’45’’). Seduta su una spiaggia l’artista conta i granelli di sabbia, senza sosta né esiti definitivi, mentre è filmata dal suo compagno, il documentarista Folco Quilici, che le gira intorno come un satellite intorno a un pianeta. Un’opera che fa pensare all’eterno flusso e al riflusso delle maree.
Presente un filmato che ci riporta nel 1968, a Roma, quando Plinio De Martiis organizza Il Teatro delle mostre nella sua galleria La Tartaruga, un festival che accoglie azioni effimere di artisti come Giosetta Fioroni che presenta La spia ottica, una performance che vede una parete con dispositivi ottici dai quali i visitatori possono vedere una replica della stanza dell’artista e un’attrice che la raffigura nella sua intimità. Troviamo anche Rosa Foschi, tra gli altri, in Terra animata, misurazione della terra, (video, 1967) di Luca Maria Patella, dove indica lo spazio indossando un indumento che rispecchia l’ambiente. Un’opera precorritrice della Land Art, nei titoli leggiamo infatti Azioni pre-land artistiche e concettuali.
Elisabetta Catalano immortala nel suo studio Lo scorrevole (1972) di Vettor Pisani, una performance interpretata da Monica Strebel che, ridotta a semplice oggetto, è stretta alla gola da un complesso meccanismo, ma anche Ideologia e Natura di Fabio Mauri. E per finire, una curiosità. Chi è la performer dell’azione di Mauri? La donna è vestita con la divisa da giovane italiana Balilla, si spoglia e si veste lentamente e metodicamente, in sottofondo si sente musica e propaganda fascista. Si tratta di Jeanette Reinhardt, una videasta canadese che, nel 1980, ha fondato Video Out, un distributore di video arte e documentari LGBT. I suoi lavori sono nelle collezioni della National Gallery of Canada e del MoMA.
Curata da Diane Dufour, direttrice di Le Bal, Giuliano Sergio, critico e curatore indipendente, Quentin Bajac, direttore del Jeu de Paume, e da Lorenza Bravetta, conservatrice di fotografia, cinema e new media presso La Triennale di Milano, la mostra è accompagnata da un pregevole catalogo di 420 pagine, con oltre 300 opere e eccellenti approfondimenti critici. Aperta fino al 29 gennaio e presentata poi a primavera alla Triennale di Milano, l’esposizione è decisamente da non perdere.