07 marzo 2025

A Pordenone va in scena la pluralità della visione fotografica

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Fino al 4 maggio, presso il Museo Civico d’Arte Palazzo Ricchieri e la Galleria Harry Bertoia, va in scena un dialogo fotografico in tre atti curato da Suazes, promosso dal Comune di Pordenone e patrocinato dal Ministero della Cultura dal titolo “Sul guardare”

Sul guardare, Pordenone

Recentemente apparso tra i finalisti per la nomina di Capitale Italiana della Cultura per l’anno 2027 presentando un dossier di candidatura dal titolo “Pordenone 2027. Una città che sorprende”, il capoluogo della destra Tagliamento lancia uno dei primi progetti presenti in tale quadro. La rassegna “Sul guardare” è programma espositivo in cinque mostre dedicato alla fotografia che, a partire dal 22 dicembre 2024, ha cominciato ad animare gli spazi delle due sedi museali con l’intento di intessere un rapporto dialettico tra quelli che vengono definiti i “ maestri” e i “ contemporanei” dell’istantanea.

Si tratta di mostre che portano nuovo respiro, nuove possibilità e nuovi stimoli in una città che spesso ha faticato ad accettare la propria duplice natura, tanto dedita alla produzione industriale quanto a quella artistica. La firma di Marco Minuz, fondatore della società Suazes, dona alle tre esposizioni attualmente visitabili la possibilità di un approccio meno rigido e istituzionale che invita piuttosto ad una lettura intima e personale, alla scoperta di consonanze tra l’opera e chi la guarda.

Sul guardare, Pordenone

Per quanto concerne la sezione dei “maestri” ospitata alla Galleria Harry Bertoia, tra i due grandi nomi della fotografia italiana e internazionale scelti per la rassegna è presente quello di Bruno Barbey, fotografo francese della Magnum Photos. Del fotografo d’oltralpe viene proposto il personale Grand Tour d’Italia di stampo neo-realista compiuto tra il 1962 e il 1964 alla ricerca dell’archetipo, a tratti esotico, del popolo italiano. Nei tre anni di campagna documentaristica, Barbey viaggiò soprattutto attraverso il centro e sud Italia descrivendo il peculiare incontro di tradizione e modernità leggibile tanto nel tessuto urbano quanto nelle azioni quotidiane di donne e uomini dell’epoca.

Dall’altra parte, un grande storico e primo titolare in Italia di una cattedra di storia della fotografia – ma prima di tutto fotografo lui stesso – come Italo Zannier. Tale durante la lunghissima carriera è stato l’approfondimento teorico della pratica artistica da portare l’artista, soprattutto in anni più recenti, a sviluppare un linguaggio a tratti analitico e a tratti sperimentale, aspetto particolarmente encomiabile e sintomo di una personalità estremamente curiosa. Risulta, difatti, molto stimolante la sua esposizione personale proprio per la copiosa selezione di materiale proposto, arricchito da innumerevoli pubblicazioni dello studioso. Il titolo “Io sono io” restituisce la consapevolezza e finanche – si può credere – il compiacimento di aver raggiunto una tale propensione nel mettere continuamente in discussione e sfidare l’estetica sedimentata nel proprio occhio e in quello dello spettatore.

Sul guardare, Pordenone

Al piano terra del Museo Civico d’Arte di Palazzo Ricchieri, si susseguiranno tre mostre di fotografi contemporanei: Max Rommel, Michele Tajariol e Paola Pasquaretta. Inaugurata il 18 gennaio, la mostra “Sotto il sasso” ha l’intento di porsi come prima retrospettiva della produzione più che ventennale del fotografo pordenonese Max Rommel. Ciò che è qui possibile osservare, disposto quasi a voler creare un diario per immagini, è il frutto soprattutto di lavori di commissione con intento di comunicazione visiva di prodotto. Ciò nonostante, dagli scatti di Rommel emerge un intenso desiderio di narrare storie di semplicità attraverso un’estetica intimista. Silenziosi dialoghi sono intessuti non solo dai soggetti rientranti nelle porzioni di reale catturate dall’obiettivo, e che ritroviamo legate in una apparentemente randomizzazione della meccanica espositiva, la quale tuttavia suggerisce, stimola, agita una rilettura costante. Rommel stesso entra, con la sua pratica artistica influenzata da una complessità culturale, nell’intreccio del discorso visivo che non è composto esclusivamente da fotografie, ma anche dalla presenza di libri a testimonianza della ricchezza e della varietà tematica e contenutistica di cui la fotografia di Max Rommel è informata.

Si tratta nel complesso di tre differenti attitudini e approcci nei confronti dello strumento e del linguaggio fotografico. Senza dubbio, l’operato di Bruno Barbey, qui rappresentato nella precoce esperienza di fotoreporter che, all’età di 21 anni l’ha portato a dar vita a Les Italiens, testimonia l’intento documentativo o appunto neo-realista al quale corrispondono particolari scelte estetico-compositive. In certo qual modo, un’appendice friulana del lavoro di Barbey, è stata realizzata da Italo Zannier durante i primi anni di carriera. Tuttavia, la natura di studioso della fotografa ha permesso all’artista d’individuare soggetti e tecniche sulle quali costituire un impianto empirico di conoscenza dello strumento e delle potenzialità grazie ad una copiosissima ed estremamente varia produzione. Infine, Rommel: se la fotografia è anzitutto strumento mimetico, quella del pordenonese va oltre la resa delle apparenze arricchendosi di una delicata natura poetica che permette al fruitore di scavalcare la finestra del foglio impresso e guardare con i propri occhi la magnifica pluralità della vita.

Sul guardare, Pordenone

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