“A Roma i sogni si realizzano ancora” è il titolo della mostra dedicata a Nicola Maria Martino inaugurata sabato 13 maggio alla galleria YAG/garage di Pescara.
Il titolo, dal suono romantico ed incoraggiante, che produce un effetto “balsamico” se si è nella condizione di sognatori contemporanei, è in realtà da riferirsi alla vicenda personale dell’artista nella Roma dei primi anni ’70. Gran parte dei lavori esposti, dalle documentazioni fotografiche delle azioni concettuali- comportamentali alle opere pittoriche, risalgono infatti a questo preciso periodo storico.
I sogni a cui si fa riferimento, qui intesi non nell’impalpabile dimensione onirica, bensì nella tensione concreta di quella capacità tutta umana che è il desiderio, fanno dell’umanità uno dei temi cardine della mostra. È infatti alla dimensione umana dell’artista che Ivan D’Alberto rivolge l’attenzione nel testo critico redatto per l’occasione, partendo dalla condivisione di un aneddoto giovanile, un atto di generosità che segnerà positivamente la carriera dell’artista, per poi passare a descriverlo nel suo fare artistico come un antesignano, un errore di sistema, una figura indipendente. È nella descrizione degli aspetti che hanno caratterizzato l’uomo e l’artista (le due figure non sono mai scisse), che Ivan D’Alberto offre una chiave interpretativa di una storia che appare quasi troppo bella per essere vera.
I sogni si realizzano ancora, ma Nicola Maria Martino lo ha fatto seguendo sempre il proprio intuito e restando fedele a sé stesso anche quando ciò lo ha mosso in direzione opposta rispetto agli altri, sottoponendosi ad un attrito. Ciò lo rende un ottimo esempio di audentes fortuna iuvat. È pertanto al suo anelito nella doppia accezione di desiderio e sforzo, che rivolgo il mio sguardo mentre scrivo. Nicola Maria Martino ha dato riprova della sua audacia in più occasioni. Quando infatti sul finire degli anni ’70 la pittura viene dichiarata un linguaggio morto e a dire dell’artista: “tutti facevano altro”, ecco che Nicola Maria Martino compie la scelta dolorosa di ritornare al linguaggio pittorico. Lo dimostra Colore- colore-dolore (1976) dove il desiderio di colore si mette in luce sotto forma di un’ecolalia salvo poi declinarsi nella parola dolore, rivelando l’intimità dei due termini, separati da un solo segno.
Il recupero e la pratica di un medium considerato desueto, viene messo in atto attraverso un’azione di cancellatura, facendo tabula rasa e ripartendo da un “grado zero” della pittura. L’ intento è quello di ri-scriverne i tratti essenziali e ri-alfabetizzare il pubblico al linguaggio pittorico attraverso una forma permeata da un senso di innocenza, tipicamente fanciullesca. Lo si vede chiaramente in Alfabeto (1976).
I suoi dipinti si compongono di due elementi essenziali, il colore e la parola. Realizzati su carta a quadrettoni, sembrano provenire dal quaderno per i compiti di un allievo di scuola elementare, si veda Aeroporto (1976). Il desiderio di educare al linguaggio pittorico da un lato e l’innocenza della forma dall’altro, sembrano porre l’artista nella condizione di essere simultaneamente allievo e maestro. Con l’attitudine al racconto propria solo dei saggi e degli insegnanti, Nicola Maria Martino mi svela come ha ottenuto l’abilitazione all’insegnamento: durante l’esame scritto, decide di svolgere il tema proposto scrivendo sul suo foglio bianco solo: “1,2,3…”. Una scelta coraggiosa, che lo premierà ancora una volta, verrà infatti abilitato con il massimo dei voti. Punti, parole e numeri compaiono in opere quali Rebeca si alzava alle 3 (1976), Alle sei del pomeriggio (1976), Argo, cane di Ulisse (1976). Parole e numeri utilizzati per disorientare e spiazzare.
Se Nicola Maria Martino si fa al contempo allievo e maestro, di converso, gli allievi del “MiBe” di Pescara si fanno artisti, riattivando per l’occasione alcune delle azioni comportamentali dell’artista, diretti da Rogo Teatro di Claudia Di Domenica ed Elena Mastracci in collaborazione con la prof.ssa Silvia Pennese. Si tratta di L’artista e il gallerista (1979), L’artista non siede mai in panchina (1973), L’Artista firma i muri (1969) e Ginnastica ad arte (1973). Le performance citate insieme a quelle documentante fotograficamente, fanno parte di un’opera-azione egoriferita in cui all’autocoscienza della propria condizione di artista, Nicola Maria Martino reagisce distaccandosene con cinismo ed autoironia. Ne costituiscono un esempio Artista italiano in vendita (1972), Fuori commercio (1974), L’artista e il gallerista (1979), Uscire dalla porta della critica (1970). Ad arricchire ulteriormente la mostra una video-intervista realizzata dagli allievi dell’indirizzo Multimediale diretti dal prof. Emilio Di Donato.
In perfetto accordo con lo spirito della galleria YAG/garage, che rivolge il proprio sguardo ai giovani, l’intervento degli allievi fa parte di un progetto teorico-pratico più ampio denominato Propedeutica dell’arte contemporanea. Questo accostamento tra la storia di Nicola Maria Martino ed i giovani studenti appare più che appropriato nella trasmissione di un’esperienza che unisce desiderio tenace e audacia attiva.
Il progetto espositivo traccia quindi il percorso umano ed artistico dell’artista mettendo a confronto due momenti salienti della ricerca artistica: le azioni comportamentali e il ritorno alla pittura e lo fa in maniera chiara, con vivacizzanti variazioni di ritmo determinate dallo scandirsi delle re-performance, partendo dai primi anni ’70 per condurci al presente con due opere datate 2022, L’irresistibile estate del barone sedicente di San Clemente e L’attesa. Nulla è cambiato agli occhi dell’artista, la visione è serena, la composizione essenziale, solo l’intento di educare alla pittura mi appare meno urgente, ma resta il desiderio. All’interno di una campitura uniforme, una piccola poltrona vuota, mi attrae. Poltrona e desiderio si incontrano nel vuoto della mancanza e soprattutto nell’attesa, in quella tensione verso, questo mi fa pensare che Nicola Maria Martino abbia ragione, nulla è cambiato, esiste solo il desiderare.
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