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Come scrive Jean Cleair ne La responsabilità dell’artista: «L’arte è sempre logos […] quel leg il cui senso originale è “riunire, cogliere, scegliere”, che evoca allo stesso tempo l’idea di legare, di unire, e insieme, inseparabilmente, l’idea di prelevare, di distinguere»; lungo l’impronta dell’operosità umana, in un percorso fisico e mentale all’interno del territorium artis tra intelligibile e sensibile, il linguaggio compositivo – nell’incontro plurale che connette diverse tecniche e materie artistiche: suono, luce, scultura, pittura, video, poesia e installazione – istituisce il vocabolario poetico della mostra Il turno di notte di Alessio Ancillai, a cura di Davide Silvioli, presso Cosmo a Trastevere, Roma.
L’artista conduce il fruitore in un’armonica co-incidenza e identità di formatività e logos, quel logos di cui parla Cleair che unisce e distingue codici immaginali, enunciati verbali e verità estetiche percepite e sondate nei loro principi relazionali, costruttivi e costitutivi, nella declinazione della dimensione lavorativa del fare arte, in dialogo metaforico e iconico con i processi e le materie produttive dell’uomo sociale.
Come combines di species artis, oggetti, supporti ed elementi appartenenti alle tecniche artistiche o al mondo del lavoro manuale, assumono qualità visiva trasponendo la propria funzionalità in dinamismo estetico composito, rivelando nelle tangenze e asperità formali e materiali un equilibrio sintattico e percettivo che diviene affermazione dialettica, necessaria complementarietà e corrispondenza, tangibile quanto immateriale.
In Il confine tra te e me la vibrazione di una linea bronzea, sensibilità liminale che risponde agli stimoli di una realtà esteriore, incontra la concreata corporeità di un costrutto denso, plasmato nell’essenzialità del gesto manuale che afferra e contiene la materia. Purezza geometrica e libera forma si confrontano e legano dando origine ad una territorialità conseguita nel bilanciamento e nell’incrocio di singole entità.
In un viaggio attraverso materie e supporti della storia dell’arte, l’opera Il tempo necessario, tra marmi, bronzi, crete, telaio e luce led, compone triangolazioni assiomatiche e paradigmatiche della pratica artistica, sviluppata lungo la parabola storica, fino a giungere al tempo presente in cui l’arte è resistenza e urgenza fondante, liberamente in bilico nel proprio intimo comporsi come simposio tra le tecniche.
Nell’audio installazione Vita tua vita mea i pensieri, le rime e il richiamo onirico dell’artista si incrociano e fondono con i suoni ambientali carpiti da un microfono esterno. L’ambito riflessivo, intimo e interiore, legato alla dimensione espressiva, concettuale e poetica, tra arte e sfera sentimentale, entra in correlazione, in un perpetuo e fluido scambio, con l’esteriorità. L’interazione coscienza-mondo collega l’inconscio in senso fenomenologico all’ambiente in cui è immerso, creando uno spazio sonoro inter-soggettivo che si estende come orizzonte percettivo e immaginativo aperto.
Creando un perfetto dialogo con lo spazio espositivo, in Work Levels, la pittura su lino, il led, la carta vetrata e il bronzo, inscritti nella nuda struttura del telaio, costruiscono linearmente una matrice modulare geometrica, bilanciata in base all’asse luminoso che taglia obliquamente il telaio. Cromaticamente ordinata tra l’effetto marmoreo della pittura su lino, il caldo brunito della carta abrasiva, la tonalità lucente del bronzo e la luminescenza del led, l’opera rompe con la radicale bidimensionalità e con la riconoscibilità della materia, perseguendo un’ibridazione catartica dei mezzi espressivi ed evidenziando al contempo la reciprocità tra lavoro manuale e intellettuale, in un richiamo nominale alla ripartizione dei livelli di lavoro in parallelo ai piani dell’operare artistico.
Il lettering in argilla Pensavo a come…, posto a metà dell’intero percorso della mostra come trait d’union metalinguistico, riflette sulla diversità espressiva come punto nodale e fondamento della ricerca artistica che rinnova l’ardimento e la volontà di esplorazione dell’inconosciuto. Nella modellazione della materia prima della scultura, il linguaggio foggiato in voci lessicali si amplia e diviene totalità plastica di forma e contenuto, principio compositivo e codice verbale, di nuovo coincidenza tra corpo e mente, manualità intellettiva e intelletto agente.
Nell’installazione audiovisiva Odio ripetere, due identità, fronteggiantisi reciprocamente in proiezione su quattro bianchi panneggi, reiterano in un’azione vocale parlata e gridata, all’unisono o in leggera differita, l’avversione verso la coazione e ripetersi, marcando una critica al mercato dell’arte che confonde la replica ossessiva dell’identico con la cifra stilistica del riconoscibile, piuttosto divergente al contrario dalla riproposizione stantia.
Nell’evidenziazione dei rapporti differenziali e concettuali concernenti l’essenza tecnica, materiale e formale predisposta alla costruzione dell’opera, la mostra Il turno di notte, nell’identità della sua riflessione morfologica, è permeata dall’unione di praxis e poiesis, techné e logos, costruite e de-costruite tra corporeità e pensiero, contenuto e forma, sonno e veglia, tempo e spazio, colore e luce, linearità e materialità, interno ed esterno, superficie e profondità.