Una Guggenheim italiana: così Fabio Benzi definisce Margherita Sarfatti, promotrice culturale di prima grandezza nell’Italia degli anni Venti, all’alba del fascismo, di cui la Sarfatti è stata protagonista della prima ora, accanto a Benito Mussolini. Se la storia di Margherita critica d’arte è piuttosto nota, la sua attività di collezionista attendeva da tempo una ricostruzione, arrivata adesso grazie alla mostra “Margherita Sarfatti e l’arte in Italia tra le due guerre”, aperta fino al 7 novembre alla galleria Russo, a Roma.
Curata da Fabio Benzi, la rassegna, di qualità museale, è incentrata sulla figura della Sarfatti collezionista, e «vuole evocare l’immagine di una donna di cultura vivace e sottile, condotta dalle passioni umane e artistiche allo stesso modo e con la stessa intensità», scrive il curatore nel bel catalogo edito da Silvana Editoriale, dove Rachele Ferrario approfondisce il rapporto tra la Sarfatti e Mario Sironi, che le rimane fedele anche quando, alla fine degli anni Venti, Mussolini la abbandona e Margherita è costretta a organizzare mostre di arte italiana all’estero, essendo osteggiata in patria.
Così Benzi ricostruisce in mostra le diverse fasi del collezionismo sarfattiano: nel primo decennio del XX secolo, parallelamente all’attività di critica d’arte per quotidiani e riviste, Margherita acquista opere di Gaetano Previati (Fanciulli con cesti di frutta, 1916), Medardo Rosso (Ecce Puer, 1906) e Romolo Romani (Figura femminile, 1908); ma già nel decennio seguente i suoi interessi si allargano ad artisti come Umberto Boccioni (Periferia, 1909 ; Busto di donna- Ritratto di Nerina Paggio, 1916 ), Enrico Prampolini (Danzatrice, 1916 ) e Achille Funi (Famiglia a tavola, 1915). In realtà, sottolinea Benzi, «le vere grandi “passioni” di Margherita furono in definitiva per Mario Sironi, Arturo Tosi e Adolfo Wildt, rappresentato in mostra da una serie di sculture, tra le quali spiccano Vittoria (1919), La vergine (1924) e Mater purissima (1918), accompagnate da alcuni preziosi disegni a matita, come Pianto sulla porta chiusa (1915), La fede nell’infanzia (1916) e Casa di Gesù (1919).
Molto presente è Sironi, con una selezione di opere di qualità notevole, tra le quali il Ritratto di Margherita Sarfatti (1916-1917), l’Autoritratto (1905-1906) e La ballerina (1916), fino allo splendido Paesaggio urbano (1921), capolavoro uscito dal pennello del pittore. Sorprendente la scelta degli artisti stranieri, che la Sarfatti comincia a collezionare a partire dal 1898, mentre era in viaggio di nozze. Notevole la Natura morta con caffettiera (1911) di André Derain, accompagnato da tre disegni di nudi femminili, in dialogo ideale con Nu debut se coiffant (1898), un sensuale bronzetto di Aristide Maillol.
Infine, a documentare un gusto vicino al “ritorno all’ordine “ che caratterizza gli acquisti della Sarfatti negli anni Venti, ricordiamo Maternità (1916), un carboncino su carta di Gino Severini insieme ad Un ritratto (Autoritratto) (1905), dove l’artista si ritrae come un uomo del Rinascimento dall’espressione altera.
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"osteggiata in italia": forse era il caso di spiegare anche il perché, altrimenti è una frase buttata lì, che la fa apparire come una povera incompresa.
Ottima iniziativa, originalissima e di grande utilità sul piano divulgativo.
Trovo la galleria Russo uno stabile sito di alta qualità artistica. Quando mi trovo a Roma, non manco di dare uno sguardo alla preziosa vetrina.