Gregorio Sciltian, Pietro Annigoni, Antonio e Xavier Bueno, Giovanni Acci, Alfredo Serri e Carlo Guarienti, insieme con un capolavoro di Giorgio de Chirico: con oltre settanta opere prende forma, nel Museo Le Carceri di Asiago, I Pittori della realtà. Tra antico e moderno, una rilettura di una particolare stagione dell’arte italiana del dopoguerra curata da Vittorio Sgarbi con Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari.
«Una festa. È stata l’ultima festa della pittura italiana. I Pittori moderni della realtà, con un bellicoso manifesto programmatico, affrontarono la questione stabilendo un fronte di ‘resistenza’. Estetica ed etica, prima che politica. Aderirono con convinzione, partecipando alle cinque mostre in cui si consumò la loro esperienza comunitaria, tra 1947 e 1949. La loro ispirazione era Caravaggio, il valore della composizione e quel ‘ritorno al mestiere’ teorizzato da Giorgio de Chirico», ha spiegato Vittorio Sgarbi a proposito della mostra che si offre come occasione di scoprire la storia e la poetica di questo gruppo considerato anacronistico e non sufficientemente apprezzato dalla critica di allora.
Sei sezioni guidano l’approfondimento delle ricerche sulle carriere dei singoli artisti ricostruendo la significativa parabola all’interno della storia dell’arte italiana del XX secolo. La prima, dedicata a Pietro Annigoni, ospita la rappresentativa copia autografa del Ritratto della regina Elisabetta II, realizzata con l’allievo Romano Stefanelli (l’originale si trova nella Fishmongers Hall sede della committenza). Tutto intorno è rosato: Annigoni, nella sua grandezza seppe distribuire nello spazio del quadro il delicato colore promanato dalla luminosità del volto di Elisabetta. Il ritratto ebbe un indicibile successo sulla carta stampata mondiale, e ovunque nella burocrazia, negli atti pubblici, nel commercio, nel privato.
Arrigoni orientò la sua ricerca sul primato del disegno secondo il modello della scuola toscana, ingaggiando una personale sfida con gli artisti del passato. Gregorio Sciltian, invece, protagonista della seconda sezione, risentì nella sua produzione – come anche Roberto Longhi ha riconosciuto – di evidenti echi caravaggeschi e di una minuziosa resa dei dettagli che ricorda quella delle nature morte fiamminghe e spagnole. Di origini russe, Sciltian arrivò in Italia all’inizio degli anni Venti, esordendo con una personale alla Casa d’Arte Bragaglia di Roma (1925), dopo aver studiato a Vienna, dove ebbe modo di ammirare Madonna del Rosario. Le sue nature morte, affollate di oggetti e ricche di dettagli, sono una magistrale realizzazione dell’illusione di realtà che Sciltian ricercava, inserendosi nel processo di riscoperta della pittura caravaggesca iniziato nel 1922 con la Mostra della pittura italiana del Seicento e Settecento, allestita a Palazzo Pitti a Firenze.
A Firenze, all’inizio del 1940, arrivarono dalla Spagna Antonio e Xavier Bueno – a loro è dedicata la terza sezione – che si distinsero, facendosi notare anche da Giorgio De Chirico, per il talento e la straordinaria padronanza delle tecniche pittoriche. Xavier esordì, negli anni parigini, con una pittura militante dai temi sociali che riflettevano la sua adesione al partito comunista e dalla pennellata densa e pastosa che richiamava la grande tradizione spagnola, mentre Antonio adottò una visione lenticolare che guarda alla scuola fiamminga. L’opera dipinta a quattro mani nel 1942, La Carrozza (Passeggiata alle Cascine), è uno straordinario esempio di come i due fratelli seppero instaurare, oltre le loro peculiarità, un sodalizio artistico così forte che annullava le differenze stilistiche e rendeva impossibile distinguere la mano di Antonio da quella di Xavier.
Annigoni, Sciltian e i fratelli Bueno furono i quattro artisti firmatari del Manifesto (che accompagnò la loro prima mostra nel ’47) dei Pittori moderni della realtà: «Noi ricreiamo l’arte dell’illusione della realtà, eterno e antichissimo seme delle arti figurative. Noi non ci prestiamo ad alcun ritorno, noi continuiamo semplicemente a svolgere la missione della vera pittura. […] Ben prima di incontrarci, ognuno di noi aveva sentito profondamente il bisogno di ricercare nella natura il filo conduttore che ci permettesse di ritrovare noi stessi nel labirinto delle scuole che si sono moltiplicate nell’ultimo mezzo secolo». A loro si aggiunsero poi Alfredo Serri, con minuziose nature morte, Giovanni Acci, rigoroso nello studio dell’anatomia con cui costruiva le sue figure, e Carlo Guarienti, ispirato dalla pittura quattrocentesca, anch’essi presenti nel percorso espositivo, nell’ultima sezione – Nuove realtà. Le tentazioni della modernità – che esplora i diversi e autonomi percorsi estetici intrapresi dagli artisti, con esiti tra loro distanti e diversificati, tutti di straordinaria qualità nel ribadire la vocazione al vero e il dialogo con il passato.
La mostra si completa, prima della chiusura, con l’esposizione di La passeggiata del barone (Cavaliere con scudiero), capolavoro di Giorgio De Chirico datato 1945 e proveniente dalla collezione del Mart di Rovereto, che approfondisce la relazione dei pittori moderni della realtà con il padre della Metafisica, che con loro consolidò rapporti di stima. Ad arricchire l’esposizione, all’interno di ogni sezione, sono esposte in dialogo e a confronto le opere di artisti sei-settecenteschi, alimentati dalla temperie caravaggesca prima e barocca, come Maestro di Hartford, Giuseppe Recco, Pensionante del Saraceni e Carlo Magini, che furono assunti a fonte di ispirazione e modello dagli artisti del Manifesto.
I Pittori della della realtà. Tra antico e moderno, rivendica una pittura morale nella sua intima essenza, un orizzonte ideologico che non apparteneva alle ricerche artistiche che negavano il dato reale. Proseguendo un percorso di riscoperta condotto con ferma convinzione da Vittorio Sgarbi, la mostra di Asiago svela, nella ricerca di virtù artistiche pure, reali e pertanto eterne, il desiderio di valori morali e spirituali assoluti, l’aspirazione a quella autenticità che si ritiene possa essere debitamente rintracciata solo nella vera pittura.
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