«La mia non è un’infatuazione giovanile ma si tratta di speranze fondate, di amore sincero, profondo che io porto all’arte; che si tratta della sola religione della mia vita: adoro il bello che mi offre l’arte e la natura, non credo ad altro». Così sentenziava Mario Sironi in una missiva datata luglio 1903. A queste parole dell’artista sardo, appena diciottenne, si ispira – non solo nel titolo – la mostra-dossier lui dedicata e visitabile fino al 26 maggio prossimo a Pordenone, negli spazi al piano terra di Palazzo Ricchieri, sede del Museo d’Arte civico. Grazie a una meditata selezione di 35 opere, l’esposizione soprattutto dimostra come gli auspici (e i presagi) dell’esordiente artista si invereranno nel corso della sua variegata quanto eclettica carriera che lo vedrà attraversare le Avanguardie del primo ‘900 – dal Futurismo alla Metafisica, fino a essere tra i capofila del Novecento Italiano – e restituisce al contempo la temperie socio-culturale, la koiné della prima metà del XX secolo nel Bel Paese.
Il percorso espositivo volutamente non segue un ordine cronologico o filologicamente serrato, ma propone una campionatura eterogenea della produzione sironiana; singoli pezzi, spesso ai più inediti, ciascuno dei quali può aprire uno scorcio sulla vita dell’uomo, una parentesi sulle vicenda creative dell’artista, invogliando a un possibile approfondimento. Sironi è stato infatti scultore, architetto, illustratore, scenografo, grafico, autore di manifesti programmatici e animatore di dibattiti critici. Soprattutto negli anni Trenta fu grande teorizzatore e fautore di un robusto ritorno alla pittura murale. Dato questo che ne farà uno dei nomi più affermati del Ventennio fascista e ne decreterà poi, in seguito, la marginalizzazione alla caduta del Regime.
Ecco allora che troviamo presenti in mostra al Museo Ricchieri i grandi cartoni per i mosaici monumentali destinati al Palazzo dell’Informazione di Milano (1936-1937) e i collage; i ritratti di uomini e le composizioni aniconiche degli anni Quaranta; le monocromie delle illustrazioni per Il Popolo d’Italia e i cromatismi dei manifesti pubblicitari per la FIAT; la satira pungente degli inchiostri e il compassato eroismo degli affreschi; gli oli figurativi e le tempere astratte; gli aerei stilizzati e i nudi scultorei.
Dopo l’ampia, organica mostra del 2018, Mario Sironi (Sassari, 12 maggio 1885 – Milano, 13 agosto 1961) torna dunque protagonista a Pordenone per un’esposizione di scelte e di cesello, progettata e curata da Alan Serri della Galleria Cinquantasei di Bologna – fondata nel 1980 da Silvana ed Estemio Serri, con la consulenza artistica di Franco Solmi – realtà che da decenni è un riferimento nel settore sia per le opere dell’artista e che del panorama novecentista italiano e internazionale. Accompagna il progetto espositivo un agile catalogo, edito sempre da Galleria Cinquantasei, con un testo critico dello storico dell’arte Claudio Spadoni.
L’esposizione è promossa da Pordenone Fiere che sceglie di rinnovare la partnership con il Comune di Pordenone e si fa quest’anno largo negli spazi espositivi civici per un nuovo progetto rivolto alla città friulana dopo le mostre en plein air di Bruno Lucchi del 2019 e di Giorgio Celiberti nel 2020 e l’antologica di Umberto Martina del 2022. La mostra di Mario Sironi sarà visitabile fino al 26 maggio 2024.
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