Raccontare di Paolo Masi è come raccontare della storia dell’arte italiana dagli anni ’50 ad oggi. Continuamente, allo scorrere del tempo, Masi sperimenta l’arte, e con essa il suo divenire, il suo essere così profondamente legato all’esperienza della storia. Il nome di Masi nel corso di più di 60 anni di attività artistica, si accosta ai più grandi movimenti che lo hanno incorniciato: Masi l’artista dell’arte post-informale, dell’astrattismo, del Neoconcretismo, della pittura analitica e riduttiva. L’artista che lascia – ma pur sempre torna – alla sua Firenze, la sua Itaca. E che per sete di conoscenza, curiosità implacabile, scopre e vive a Zurigo, Parigi, Milano, New York. In questo vorticoso amore per il fare arte, per essere atomo del proprio tempo, si possono leggere nelle opere di Masi certe costanti, come una sintesi visiva – a volte celata a volte ben visibile – che rimanda alla più attenta e rigorosa geometria, all’utilizzo sperimentale sempre nuovo di materiali diversi, all’attenzione compositiva per i segni e le tracce. Tracce lasciate sulla superficie artistica dalla pittura colata in movimento, dal nastro adesivo, dalla struttura interna del cartone alveolare, dai suoi stessi attrezzi di lavoro.
Le stesse tracce geometriche, la medesima attenzione per i fatti del mondo, gli accadimenti della storia, si ritrovano sorprendentemente nelle opere di Servane Mary, artista francese residente a New York, ospite alla Galleria Frittelli per mezzo della collaborazione con APALAZZOGALLERY (Brescia). Appare in effetti, afferma la curatrice Eva Brioschi, «lampante l’affinità elettiva tra questi due artisti, seppure ignara e finora inesplorata». Una somiglianza di formalismi adottati che non fa altro che confermare quanto la geografia e le rispettive biografie passino in secondo piano, in fondo, quando a giocare la partita dell’arte è il sentire creativo. Optical Recording (2024), di Mary, risponde dunque in ritmica assonanza con Tessitura (1976), di Masi; le soluzioni plastiche su rame della prima, Untitled (Tambourine) (2016), con la serie Omaggio a Léger (2022 e 2024) del secondo. Ancora, geometrie circolari in Round Marilyns (2019) e Argenté (2021), dell’artista francese, si accostano a Invaders (2005), dell’italiano.
In un giocoso e preciso rimpallo, le opere dei due artisti condividono alternatamente la parete di fondo della Galleria fiorentina, regalando una scenografia di Corrispondenze baudelairiane che «Come echi che a lungo e da lontano, tendono a un’unità profonda e buia, grande come le tenebre o la luce. I suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi».
Venezia Salva – Salva Venezia della fiorentina Lucia Marcucci, nella sala adiacente, omaggia la filosofa Simone Weil con un prezioso lavoro esposto durante la LIII Biennale di Venezia presso i Magazzini del Sale – Punta della Dogana e una selezione di grandi dipinti realizzati da Marcucci negli anni Novanta. Converso successivamente nel libro d’artista Weil. Lettere, il lavoro si articola di 34 opere più una che evocano il mondo immaginario e mistico di Weil. Queste opere riflettono un profondo simbolismo: il sacrificio della filosofa per la redenzione dell’umanità, il numero degli anni della sua vita e il 34 come emblema della malinconia dureriana e della meditazione sul destino ultimo.
Le tavole, realizzate in tecnica mista su carta, si ispirano alla tragedia Venise sauvée e raffigurano lettere sigillate su cui sono impresse frasi tratte dagli scritti di Simone Weil. La grafia è fluida e dolce, ma al contempo incerta. Uno stile che sembra evocare la sofferenza della filosofa, le tensioni emotive e intellettuali che la laceravano, e la fragilità della sua malattia. È proprio nella potente dicotomia tra la delicatezza del linguaggio artistico e la profondità dei significati che le opere di Marcucci trovano la loro forza espressiva. Lettere in corsivo, dolcemente colorate, celano dietro l’apparente grazia della scrittura temi duri e universali: la morte, l’amore passionale, la complessità del vivere e il bisogno, spesso fragile, di essere compresi. Contrasti che rendono le opere meravigliosamente eteree e spietatamente autentiche al tempo stesso.
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