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Al Museion le enigmatiche sculture di Vallazza e la poesia visiva di Poetry in the box
Mostre
«Legni che hanno sentito la voce della neve e del vento e tutto il silenzio delle montagne» così definiva le sculture di Adolf Vallazza lo sceneggiatore Tonino Guerra. All’artista altoatesino, che quest’anno festeggia i cento anni, Museion dedica Adolf Vallazza 100. La mostra, realizzata in collaborazione con l’Archivio Adolf Vallazza, traccia un racconto che parte dalla grande scultura di uccello Vogel della Collezione Museion e si dipana attraverso i totem, menhir e altre sculture astratte che hanno reso celebre l’artista. Presentate per la prima volta insieme in un’istituzione museale, le dieci sculture, realizzate tra il 1988 e il 2009, coprono oltre vent’anni della produzione di Vallazza e sono affiancate da una sezione sul lavoro grafico, elemento fondamentale dell’opera dell’artista, che di sé dice «io sono scultore pittore, fin da bambino scarabocchiavo sui muri». Vallazza inizia infatti la sua carriera come pittore, per poi spostarsi negli anni sessanta verso la scultura e sviluppare un suo personalissimo linguaggio, che si distacca radicalmente dalla tradizione dell’intaglio per cui la sua Val Gardena è famosa. Dalle valli e paesaggi della sua terra l’artista recupera però vecchie assi e tavole di cirmolo, pino e abete provenienti da case e fienili dismessi con cui dà vita alle sue monumentali opere. Un gesto, questo, precursore, che oggi definiremmo green e zero waste.
Dall’art brut al futurismo, dal surrealismo alle leggende dolomitiche fino all’arte africana – le influenze che attraversano le enigmatiche creature di Vallazza sono diverse e contrastanti, eppure sanno ricomporsi in un ecclettismo raffinato, pulito, che ha una potenza arcaica e primordiale. Quasi che, in un lungo lavoro di sottrazione, da ogni suggestione e corrente l’artista abbia saputo cogliere l’essenza più pura. Lo stesso fascino emana dalle sculture che abitano e scaldano con i loro legni lo spazio asettico di Museion Passage. Dai loro corpi creste, becchi o corde di misteriosi strumenti musicali sembrano chiamare a sé, come suoni o canti di uccelli primordiali. L’invito è ad avvicinarsi per scoprire il segreto della loro essenza: il tempo. Tarli, fessure, scalfitture e solchi segnano infatti i legni utilizzati da Vallazza. Come l’acqua dei fiumi ha bisogno della vegetazione e di terreni rugosi e imperfetti per incanalarsi e non erompere, così Vallazza riesce a incagliare il flusso del tempo sulla superficie imperfetta delle sue sculture. Una capacità, questa, che rende la sua opera germinativa e più attuale che mai. Fino al 2 giugno 2024.
Poetry in the box
Passato il bosco di sculture di Vallazza, ci si addentra nell’arcipelago di Poetry in the box. Il progetto espositivo, a cura di Frida Carazzato (Museion) e Duccio Dogheria (Mart di Rovereto) rende omaggio al Mercato del Sale, punto di riferimento della poesia visiva internazionale e alla figura di Ugo Carrega (Genova, 1935 – Milano, 2014), che dello spazio fu curatore e direttore. L’esperienza del Mercato del Sale, artist-run-space milanese attivo dal 1974 al 1989, è rievocata, in mostra, dalle opere e documenti dell’Archivio di Nuova Scrittura, donati a Mart e Museion dal collezionista Paolo Della Grazia. «Hanno dell’incredibile ed erano memorabili, anticipavano i tempi ed il futuro e noi li abbiamo vissuti con semplicità e allegria, un gioco e passatempo e forse incoscienza»: così ricorda il collezionista i lavori e le esperienze nate in quegli anni. Un vivace laboratorio intorno a cui gravitava una fitta comunità di artiste e artisti: questo era il Mercato del Sale, che nei suoi 15 anni di vita ospitò oltre duecento esposizioni. Una storia di condivisioni e sperimentazione, che la mostra a Museion restituisce anche nello spirito e che risuona nelle scelte dell’allestimento. Lo spazio espositivo è scandito infatti da un elegante arcipelago di scatole bianche, riproduzione fedele di quelle create da Carrega per ordinare la sua ricerca all’inizio degli anni settanta (le originali sono conservate all’Archivio del Novecento del Mart). La mostra porta alla luce per la prima volta una selezione dei contenuti da questo vasto archivio dell’artista e la mette in dialogo con una serie di opere verbovisuali dell’Archivio di Nuova Scrittura. Oltre ai lavori di Carrega, si scopre quindi un ampio ventaglio di opere e testimonianze di diversi altri artisti e artiste, come Anna e Martino Oberto con cui Carrega aveva dato vita nel 1958, alla rivista d’artista “Ana Etcetera”, o Elisabetta Gut, Liliana Landi, Bruno Munari, Emilio Villa, Stelio Maria Martini, Gianfranco Baruchello e molti ancora.
A legare le diverse voci è la ricerca per l’aspetto visivo della parola e del linguaggio, analizzato da Carrega nel concetto di scrittura simbiotica e che lo porterà a coniare il termine di Nuova Scrittura. Gallerista, poeta, traduttore ed editore Carrega è stato una figura poliedrica: mescolare le carte, sconfinare tra generi era parte essenziale del suo approccio. Sono quindi lavori sottili, indisciplinati e sfuggenti, da guardare e da leggere, quelli di Poetry in the box. Spesso il confine tra edizioni, opere e riviste è sfumato, come ad es. nella Scatola. Rivista oggetto di Carrega e Finotti. La parola è sempre protagonista, come fonte di infinite combinazioni di significato nei Permutatori manuali o diventa scultura mobile nel poemobile Love never keeps still. O, piegata, si fa oggetto nelle Verbosculture. In altri lavori non è solo la parola a farsi presenza fisica, ma anche il fisico a tradursi in parola, come nel sospiro del poeta (lungo e profondo) di Vincenzo Accame, che rievoca Bodies, mostra che raccoglieva frammenti corporali inviati da artisti di tutto il mondo. Tra le “chicche” anche le opere di Cards from the world (1973), una delle prime mostre di Mail art in Italia organizzate da Carrega. E poi l’edizione The Large Glass and Related Works, Vol. 2 1967-68, di Marcel Duchamp, artista a cui Carrega era particolarmente legato. Lo spirito duchampiano aleggia, del resto, su tutta la mostra, non solo per il concetto di scatola, in cui riecheggia la celebre Boîte-en-valise, ma anche per l’attenzione alla parola, alla sua forza e ai suoi enigmi che pervade le opere. E comincia dal nome scelto per lo spazio, Mercato del Sale, che altro non è che la traduzione dello pseudonimo dell’artista francese, Marchand du Sel. Fino all’ 1 settembre 2024.