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Piacerebbe al regista Wes Anderson la mostra “Aldo Rossi. Design 1960-1977” ospitata al Museo del Novecento, architetto dalla visione poetica del mondo, allievo di Piero Portaluppi e primo italiano a vincere l’ambito premio Pritzker 1990 (dopo di lui è stato assegnato a Renzo Piano), in bilico tra funzionalità e sorprendente inventiva. L’excursus espositivo si snoda in un racconto immaginifico del suo modus oprandi, giocoso, fiabesco e surreale con oltre 350 oggetti e arredi, prototipi, modelli, dipinti, disegni, studi e progetti a cura di Chiara Spangaro, in collaborazione con la Fondazione Aldo Rossi e Silvana Editoriale. Complice della messa in scena di un atmosfera domestica e teatrale senza esagerazioni, è l’allestimento suddiviso in 9 sezioni firmato da Morris Adjami- Ma Architects, collaboratore associato di Rossi a New York, e l’illuminazione progettata ad hoc da Marco Pollice.
Dall’architettura al design, la mostra cambia parametri di scala, l’esposizione mira a cogliere nel vivo l’interdisciplinarità tra le arti, che dagli anni Ottanta del secolo scorso caratterizza il cosiddetto Postmodernismo, quando il design diventa poetico, giocoso, colorato, irriverente e anche l’architettura si fa curva e supera l’aspetto funzionalista modernista.
Aldo Rossi (1931-1997), tra i protagonisti della cultura nel XX secolo, dedito a progetti in ambito pubblico e privato, per qualcuno un poeta prestato all’architettura, raffinato teorico e autore del monumento “cubico” al settimo presidente italiano Sandro Pertini (inaugurato nel 1990), all’incrocio tra via Montenapoleone e Alessandro Manzoni, criticato dai milanesi; con questa mostra sui generis ci sorprende per la sua abilità di disegnatore convulsivo, innamorato della progettazione “sia che si trattasse di architettura, di design d’oggetti o d’arredo finanche al semplice disegno” – ha dichiarato in conferenza stampa la curatrice – riconoscibile per la capacità di cogliere in essenziali linee geometriche evocazioni di mondi surreali.
La relazione tra opere grafiche e prodotti artigianali e industriali è il fil rouge dell’esposizione, infatti le sue caffettiere potevano diventare case, quadranti degli orologi statue per decorare le piazze e le teiere protagoniste di chissà quale fiaba di Lewis Carroll, come il famosissimo il servizio Tea and Coffee Piazza del 1983. L’intellettuale e ironico non ordinario signor Rossi, con questa mostra immaginifica ed insieme analitica, svela il suo piacere di disegnare, progettare, inventare case e cose, all’insegna della giustapposizioni e analogie insolite, come testimoniano gli oggetti in mostra, anche prototipi mai realizzati (si veda la sedia pieghevole del 1987, immagine del manifesto) e la sedia di Milano. Dalla libreria Piroscafo per Molteni, progetta con l’amico Luca Meda, all’Armadio Cabina dell’Elba (1982), realizzato per Bruno Longoni Atelier, al tavolino della serie Fiorentino il cui piano riproduce una scacchiera, alle poltrone asimmetriche, un po’ sbilenche, e altri elementi d’arredo che aprono riflessioni sul rapporto tra architettura e design, in cui si mettono in discussione le forme classiche dell’architettura applicati al design; qui tutto è lavoro d’invenzione a servizio della produzione industriale.
Dal 1979 Rossi firma arredi e prodotti d’uso con diverse aziende da Alessi, Artemide, Design Tex a Rosenthal, Molteni /Unifor a Richard Ginori, a Up&Up (oggi UpGroup), marchi che raccontano l’evoluzione del gusto e insieme della vitalità del design tra gli anni ’80 e ’90. Seducono i bambini di tutte le età le sue architetture in miniatura, in particolare le caffettiere come “La cupola” o “La conica”, icona Pop con manico diritto disegnata nel 1980 per Alessi, ripetuta in una decina di schizzi come torre o anche abitazione. È una casa giocosa la sua, arredata con oggetti che rispecchiano fedelmente i suoi disegni visionari a china e dai colori sgargianti che evocano le opere di Alberto Savinio e del fratello Giorgio de Chirico in cui la vita è teatro.
Incantano nella quinta sala i tappeti-arazzi realizzati con ARP studio in Sardegna (1986), appesi al muro dai motivi astratti-geometrici realizzati a mano. Nella sesta sala sono allestite sedie, poltrone, grandi mobili e le loro varianti per materiale e colore, dalla scrivania Papyro (Moltemi&C, 1989) al tavolino Tabularium (Up&Up, 1985). Nella settima sala si ha l’impressione di entrare in un quadro dal Realismo Magico, dove tutto è sospeso, rarefatto e misterioso, incantevolmente domestico che riunisce oggetti di Rossi con altri da lui collezionati, in mezzo spicca un grande tavolo in marmo, in un angolo ci spia un inquietante pinocchio in legno gigante adagiato su una poltrona vintage, e tra caffetterie americane e altri mobili, c’è anche un cavallino in legno dipinto e una stampa di Giovanni Battista Piranesi.
Varcare la soglia al piano terra del Museo del Novecento di una mostra che racconta il mondo di Aldo Rossi suddiviso in 9 ambienti tinteggiati con colori tenui, celeste e rosa, tinta privilegiata dall’architetto, permette al fruitore anche non esperto di godere del piacere estetico dell’oggetto in sé; qui tutto è opera arte, incluso l’allestimento teatrale, dalle ricostruzioni ambientali fascinosamente decorative.
Chiude il percorso espositivo la riproduzione del Teatro del Mondo di Venezia, edificio temporaneo in legno presentato in occasione della Biennale di Venezia del 1979, che rievoca le costruzioni temporanee in legno- dal faro alla cabina, al teatro galleggiante – ricostruito solo una volta a Dubrovnik e poi mai più visto. Di nuovo c’è che in questa mostra di una “biografia domestica”, dagli interni non borghesi di un professionista della progettazione che è ispirata dalle fotografie di Luigi Ghirri e di Stefano Topuntoli, dalle immagini private delle case di Rossi e da quelle più note degli studi di via Maddalena e di via Santa Maria alla Porta a Milano; tutto dipende da come guardiamo il mondo, in cui la quotidianità filtrata da una lente di metafisico mistero si fa più bella.