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Alla Fondazione Merz di Torino una mostra riflette sul senso del Sacro nella contemporaneità
Mostre
Nel mondo secolarizzato che abitiamo raramente capita di incontrare il sacro, tanto che non sappiamo neppure più bene, forse, che cosa la parola “sacro” profondamente significhi. La mostra attualmente in corso alla Fondazione Merz si propone invece proprio di indagare il significato del sacro per noi, donne e uomini del XXI° secolo, e lo fa attraverso il lavoro di alcuni giovani artisti internazionali. Affidata alla curatela di Giulia Turconi, la mostra si snoda in un percorso espositivo articolato sui due piani della Fondazione, ponendo le opere, come sempre in questo luogo, in dialogo con le opere di Mario e Marisa Merz. Il titolo della mostra, Sacro è, è tratto dalla raccolta di poesie di Franco Arminio del 2023, e si pone come una frase da completare, quasi che le opere esposte in mostra funzionino come sospensivi, posti l’uno dietro l’altro ad articolare possibili risposte, suggestioni, suggerimenti, ciascuno volto ad indicare una riflessione, una meditazione, un incanto sul tema del sacro.
Partendo dal tema del sacro nella dimensione segreta e personale del singolo, per passare a temi di carattere sociale e infine universale e spirituale, le opere in mostra si muovono tutte sul tema del confine, del limite, o meglio della soglia che insieme ci separa e ci conduce verso qualcosa di misterioso, che ci trascende e che avvertiamo come essenziale tanto dal punto di vista spirituale quanto da quello esistenziale o, meglio ancora, umano. La mostra prende le mosse dal drappo rosso su cui campeggia la scritta “Tutto” di Matilde Cassani (Domodossola, 1988) che apre la mostra, e dalla performance musicale site specific di Giuseppe di Libero (Palermo, 1996). Si passa poi alle opere video di Lena Kuzmich (Vienna, 1988), sul tema della vita non binaria in natura, e di Tommy Malekoff (Virginia, 1992), che cerca i luoghi liminali della quotidianità, come i grandi parcheggi urbani, per arrivare infine alle installazioni e sculture di Quỳnh Lâm (Saigon, 1988), ispirate a una poesia di Emily Dickinson; Gian Marco Porru (Oristano, 1989) sul tema dell’acqua e della fonte; Lorenzo Montinaro (Taranto 1997), sui riti funebri della nostra tradizione occidentale; e Tiphanie Calmettes (Ivy sur Seine, 1988) sul tema del “brodo primordiale” da cui nasce ogni cosa. Tutte le opere indicano luoghi di passaggio, ideali porte socchiuse attraverso le quali è possibile individuare una dimensione altra, che possiamo soltanto indovinare, luogo del mistero tanto della nascita, quanto della morte.
La mostra è stata poi arricchita dalla performance di Giuseppe di Liberto Spargere la morte, che ha avuto luogo la sera dell’inaugurazione, lo scorso 18 marzo, ed è accompagnata dalla proiezione del film Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968). Come diceva Heidegger commentando la poesia di Hölderlin, lo spazio del sacro è quello spazio lasciato vuoto dagli dei di un tempo, che ormai se ne sono andati lasciandoci in bocca il gusto amaro del disincanto. Eppure, quello del sacro è ancora uno spazio vivo e vitale, abitato non più dagli dei, ma dal mistero che la parola dei poeti (e degli artisti, diremmo noi) soltanto può nominare.
In questo senso, possiamo forse dire che gli artisti in mostra alla Fondazione Merz “nominano” il sacro cercando una sua declinazione molto umana, presente, attuale, che faccia i conti insieme con le idee che sentiamo più urgenti, come il rapporto con la natura e l’ambiente, e con le cose che più ci spaventano, come lo sconosciuto, il mistero, e infine la morte. Il sacro diventa allora la chiave per comprendere il mistero della vita, il passaggio tra nascita e morte, brodo primordiale e ritorno. Un mistero che, come diceva Martin Buber del mondo, non è forse comprensibile, ma è certo “abbracciabile”. Oppure, come recitano le parole di Odette, uno dei personaggi del film di Pasolini: “Non è la vita stessa, nella sua naturalezza, che è misteriosa, e non le sue complicazioni?”