Un mondo denso e inteso, connesso a un mondo vero, ma pieno di unâispirazione poetica che sembra sollevare lâaspetto latente del reale, rendendo visibile lâinvisibile. Immagini dallâintimitĂ , si potrebbe dire parafrasando Jorge Luis Borges: «La vecchia mano / ancora traccia versi, / versi dallâoblio». Immagini che si caratterizzano per una qualitĂ di articolazione lirica delle componenti, dove tutto â i soggetti, la luce, lâarmonia della composizione â concorre a creare un paesaggio dalla sconfinata polisemia.
La prima personale milanese nei propri spazi che la Galleria Gracis, in collaborazione con la galleria Photo & Contemporary di Torino, dedica fino allâ1 giugno al noto autore Paolo Mussat Sartor (Torino, 1947), Ăš un viaggio nella zona di confine inafferrabile tra fotografia e pittura, in uno spazio che si rivela interstiziale rispetto a categorie pre-esistenti.
Testimone ed interprete dei momenti salienti dellâevoluzione artistica dellâArte Povera e della scena internazionale dellâarte moderna e contemporanea, ma anche raffinato e colto protagonista nellâambito della fotografia di ricerca, lâartista espone in questa occasione 26 stampe fotografiche di grande e medio formato ai sali dâargento con interventi pittorici con pigmenti a olio realizzate tra il 1992 e il 2005. Tutti esemplari unici tratti dalle serie delle Figure (2001-2005), delle Rose (1991-1992), delle Gambe (1992-1993), degli Asimmetrici (1999-2000) e dei Paesaggi (anni â80 e â90). Tutti frammenti autosufficienti di unâunica esperienza che non conosce soluzione di continuitĂ tra arte e vita.
La fotografia di Mussat Sartor risulta seducente e incantatoria. Che si tratti di corpi femminili, rose, vedute o scorci di cittĂ misteriose, il risultato Ăš lâirruzione sulla scena di un linguaggio che non si nega allâintreccio e allâosmosi ma anzi, ne cerca la tensione e il confronto. E proprio grazie a quel dialogo, in quella mescolanza, diventa fautore di onirismo e magia.
Se la padronanza nellâimpiego dei corpi, visibile nella serie delle Figure, li colloca in un rassicurante territorio del bello di reminiscenza vagamente classica, la dissoluzione dei contorni delle gambe, raccolte nellâomonima serie, rivela il carattere insondabile, finanche impalpabile, dellâoggetto del desiderio. E se i fiori appartenenti alla serie delle Rose sembrano dare risalto a una realtĂ tutta scoperta e disponibile, per contro le storture degli Asimmetrici paiono intenzionalmente opporsi alla dittatura delle immagini.
Ă in questa dialettica, nella perpetua alternanza di caos e cosmo, che lâartista compie la sua indagine, cercando il lato nascosto che si annida nelle pieghe dellâesistenza umana. Ă da questa prospettiva che cristallizza i piccoli paesaggi mediterranei o i soggetti architettonici che completano la mostra e che, ricchi di interventi a pennello, costringono le spettatore a guardare e riguardare, invitandolo a mettere in discussione il proprio modo di vedere.
«Con Mussat Sartor la fotografia insomma abbandona la propria caratteristica identitaria, derivata da una tecnica precedente e ipostatica per porsi invece come un inedito spazio creativo attraverso il quale evocare nuovi umori e identitĂ potenziali dellâimmagine», ha scritto il critico Andrea Bellini nel 2006 nel catalogo della sua antologica alla GAM di Torino.
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