Il paesaggio a un certo punto cambia. Un punto non può essere un confine, è attraversato da un fascio infinito di linee che lo congiungono ad altri luoghi. Quella su cui mi trovo è la strada N10 uno dei due bracci della biforcazione che collega la città snodo di Techiman con il nord del Ghana, la via che conduce più ad est, alla Northern Region.
Dal finestrino del bus, per chi come me proviene in dicembre dal sud del paese, l’esuberanza della vegetazione lascia il posto alla terra arsa. Prima erano i verdi forti, il fitto di piante diverse che abitano ai lati della strada appena fuori dai centri abitati. Visto dai suoi bordi si presenta come un abbraccio indissolubile, sciolto dallo sguardo esperto di chi conosce le caratteristiche delle varie specie e le indica per nome. Solo dopo kilometri di “scuola” si inizia a riconoscere un Anacardio da un Mango, una Palma da cocco da una da olio, una Papaia dalla pianta di Cacao. Eppure le differenze sono macroscopiche, ma l’apertura a tutta questa novità è lenta. O così è per me.
Ecco, oltre quel punto, il paesaggio che conduce verso Tamale si asciuga, e i colori si fanno più severi: il bruno della terra bruciata, il giallo terra di Siena –che è terra di Dawadawa– dei palazzi delle termiti, gli azzurri cinerini degli specchi e dei corsi d’acqua, il grigio bianco del velo sottile di polvere che il vento solleva e lascia depositare.
Tamale è una meta culturale obbligata. Nel 2019 l’artista Ibrahim Mahama (Tamale, 1987) – ghanese con curriculum internazionale, di cui in Italia si sono potute ammirare, alla Biennale di Venezia del 2015 curata di Okwui Enwezor e ai Caselli Daziari a Milano nel 2019 per la Fondazione Trussardi, le sue monumentali installazioni (ce ne parlava lo stesso Mahama in questa nostra intervista) che portano a riflettere sulla globalizzazione, la circolazione delle merci, il lavoro e la migrazione; e di cui è attesa per questa primavera la mostra a Napoli al MADRE, esito della collaborazione con l’Osservatorio Ethos Luiss Business School – ha avviato il Savannah Centre for Contemporary Art – SCCA Tamale, un artist-run project space per l’esplorazione vitale e partecipata dell’arte contemporanea.
L’anno seguente è apparsa Red Clay, e nuovi punti nella città e nel paese stanno sorgendo, tracciando una rete di luoghi in dialogo critico con i lasciti della storia, e il loro maturo riscatto nell’attualità contestualizzata del fare, alimentato dal potere trasformativo dell’arte e dal confronto con la scienza e la tecnologia.
Lo scambio continuo e reciproco sul filo della storia, tra tradizione e contemporaneità , attraversa l’opera di Agyeman Ossei “Dota” a cui è dedicata la seconda mostra ospitata nello spazio di SCCA Tamale e che per la prima volta apre al pubblico quelli di Red Clay.
La retrospettiva di questo artista poliedrico e schivo, classe 1960, “Akutia: Blindfolding the Sun and The Poetics of Peace” (Allusione: Bendare il sole e la poetica della pace; Akutia è un vocabolo Twi, una delle lingue ghanesi), curata da Adwoa Amoah, Kwasi Ohene-Ayeh e Tracy Naa Koshie Thompson, è parte di un programma decennale di rilettura dell’opera dei precursori di una corrente artistica i cui autori con lucida maturità si posizionano tra le peculiarità del contesto locale e l’aggiornato uso critico dei linguaggi artistici internazionali. Una maturità elaborata tra le maglie della storia stratificata di un paese che è stato nel 1957 il primo in Africa, sotto la guida di Kwuame Nkrumah, a raggiungere pacificamente l’indipendenza dal colonialismo, inglese nello specifico.
Una trama intergenerazionale che connota blaxTARLINES – comunità di ricerca artistica nata presso il Dipartimento di Arte della Kwuame Nkrumah University di Kumasi dal soffio vitale del Dr. kąrî’kạchä seid’ou–, a cui il centro artistico di Tamale è affiliato. Una mise en abyme della collaborazione, a cui il titolo della mostra allude riferendosi a uno dei proverbi della tradizione Asante (la regione centrale del Ghana) al cuore dell’opera di “Dota”: “le mani di un solo uomo non possono coprire gli occhi di Dio”.
Mahama, come il team a maggioranza femminile di giovani artisti-critici che curano la mostra, sono parte della comunitĂ di blaxTARLINES e con loro molti di coloro che in una coralitĂ estesa alle persone del territorio hanno preso parte con le proprie competenze, conoscenze ed energie alla costruzione della mostra e del programma di attivitĂ che ne segue il periodo di apertura: allestitori, restauratori, comunicatori, fotografi, agricoltori, artigiani, musicisti, traduttori.
Nello spirito vitale del centro d’arte l’inaugurazione –che si è tenuta a inizio settembre, nel rispetto dei locali protocolli COVID-19 – è il cardine tra l’importante lavoro di studio e interpretazione dell’opera di Ossei e la vibrazione che negli ambienti corre, evolvendo, tra tutte le presenze.
A Tamale la terra è rossa, argillosa, ne è un indizio il nome di una delle due sedi del Centro Culturale, Red Clay. Spazzata dal vento e dal passaggio delle auto si disperde nell’aria, attraversa spazi esterni ed interni, degli ambienti e dei corpi, e avvia una performance ininterrotta di stracci che si muovono per liberarne, seppur temporaneamente, le superfici degli oggetti. A SCCA Tamale la si è accolta solida, uno spesso strato ha ricoperto la superficie di calpestio, interrompendo la divisione tra fuori e dentro, obbligando a fare esperienza della mostra anche con i piedi che ne seguono le irregolarità , in parte memoria del passaggio e delle soste di altre persone, in parte accompagnamento all’installazione di una scultura, figure umane in argilla e resina a una scala di poco superiore a quella naturale che compiono gesti ordinari della tradizione viva ghanese: la preparazione del fufu (una specie di polenta) o le mosse dell’oware (un gioco da tavolo).
Nel grande ambiente a Red Clay la scultura duetta con postazioni di gioco libere per chi desidera sfidarsi in una partita; in vasche di acqua o terra le piante a pieno titolo fanno parte della mostra, un omaggio a una fonte di ispirazione spesso ritratta nelle opere. Arte e vita. Come ricorda l’artista, un giorno una donna a cui lui stava cercando di spiegare le proprie opere gli chiese se non avesse realizzato che tutte le sue sculture erano proverbi che parlano alle persone.
Ecco svelato il cuore del lavoro di Ossei, nelle varie forme che assume: dramma radio, piece teatrale, dipinto, video, animazione, o appunto scultura. E citando un altro proverbio, “colui a cui l’allusione è rivolta lo sa inequivocabilmente”. La cultura è polimorfa, generata dalle esperienze, arricchita dallo scambio.
La forma psicologica del paesaggio ghanese che scorre senza soluzione di continuità tra uomini, animali, piante ed entità è distillata in questi detti a cui l’artista da nuova materia, estendendo questa corrente dialettica ai linguaggi contemporanei. “Quando chi pronuncia un proverbio comunica con chi lo ascolta, si innesca la pace”. A Tamale è in atto un’allegoria del Ghana.
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