Per iniziare a parlare della suggestiva mostra Ti porterò nel sangue di Allegra Hicks, non ci si può esimere dall’iniziare dalla Chiesa di S. Euno e Giuliano in Piazza Magione a Palermo che la ospita. Edificata tra il 1651 e il 1658, su iniziativa della Confraternita dei Seggettieri, con il passare degli anni andò pian piano in rovina, i bombardamenti del ’43 la distrussero quasi del tutto. Abbandonata e adibita a usi diversi, fu dimenticata fino al 2006, quando iniziò il suo recupero, che si concluse nel 2017. Ed è tra questi spazi religiosi e spogli che la Hicks, colpita dalla sua aura austera ma limpida, inaugura la sua mostra in un dialogo continuo e contrapposto ma silenzioso. Le opere prendono lo spazio che gli compete ma con garbato rispetto dei luoghi che occupano. La realizzazione di questa mostra, per l’artista stessa, è stata una pura emozione e una continuazione della mostra che aveva antecedentemente presentato a Napoli, quasi come una mostra itinerante ma al tempo stesso site specific per lo spazio che la ospita.
Cosi, pensando la mostra su due livelli riflessivi e spaziali, l’artista vive gli spazi in un dialogo continuo, o meglio come un racconto non rivelato che bisogna decodificare attraverso segni e suggestioni. Assistiamo all’espletazione di argomenti quali il Sacro e Profano, la Vita e la Morte, dove ma anche la Speranza e la Fede.
Su un primo livello la Hicks, nell’area dell’abside, si posiziona l’opera composta di due parti: un’immensa goccia rosso sangue pendente da un solo lato dello spazio, metafora di liquidità e solidità e al tempo stesso di vita. La goccia si fa cosi promotrice di molteplici suggestioni e significati. Noi viviamo grazie al sangue che scorre attraverso le nostre vene in tutto il nostro corpo, rendendoci cosi esseri viventi. Come il rovescio di una medaglia però, il sangue può essere anche metafora di fragilità, di ferita e quindi di malessere, sinonimo della fragilità umane. In contrapposizione a questa goccia, la seconda parte dell’opera: un portale, quindi un accesso a qualcosa di indefinito, forse anche quel portale a cui tutti noi arriviamo quando nel nostro corpo il sangue smette di fluire, quando nel nostro corpo non c’è più vita. Si crea cosi un ponte invisibile tra le due opere, un ponte che si attraversa tra la vita e cosa si cela dopo la morte.
Nell’area dell’ipogeo, che come l’arte ci insegna essere il luogo sotterraneo della Chiesa adibito a luogo di culto o di sepoltura, l’artista prosegue con la narrazione del suo racconto mettendo a nudo uno degli atti più sacri della fede umana, con la realizzazione di Ex Voto. La locuzione latina Ex voto deriva dall’ellissi di ex voto suscepto, letteralmente “secondo la promessa fatta”, e indica una formula riportata su oggetti offerti, principalmente nei santuari, con lo scopo di ringraziare il destinatario del dono per aver esaudito una preghiera. Un gran numero di ex voto è connesso alla sfera della salute e quindi all’ambito corporeo; fra le varie tipologie di oggetti votivi prevalgono gli ex voto anatomici, che rappresentano nella grande maggioranza l’organo malato, gli oggetti-segno della malattia.
Quasi a mimare questo gesto sacro, a usare l’architettura del posto, la Hicks, che ha precedentemente visitato questi luoghi, di cui ricorda l’austerità ma al tempo stesso la purezza, posiziona nei 36 loculi della cripta 18 tele come delle preghiere rappresentano ciascuna un organo: occhi, cuore, intestino, reni, fegato, polmoni, pancreas. Ciascuno per ogni loculo, cimentandosi appieno nel ruolo di atti di preghiera. Nella loro sacralità, data dal luogo, vi sono anche questi 18 lavori , in resina,che ci appaiono cristallizzati in un involucro in resina con l’intento volontario, di fermare l’azione nel tempo, diventando cosi il simbolo di una grazia, di una richiesta esaudita.
La percezione che abbiamo nel visitare la mostra dell’artista Allegra Hicks è quella di entrare in uno spazio intimo e sacrale di cui rispettiamo il dovuto silenzio tipico di un momento di devozione. Ne viviamo pienamente l’atmosfera che ci avvolge nel momento esatto in cui varchiamo le due soglie della mostra. Al tempo stesso potremmo vivere la mostra come un viaggio spirituale e non, come un preludio al passaggio dalla vita alla morte e le riflessioni che ne nascono.
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