Per non perdere il filo. Karine N'guyen Van Tham, Fondazione dell'Albero d'Oro, © Andrea Avezzù
A partire dal 20 aprile, la Fondazione dell’Albero d’Oro inaugurerà a Palazzo Vendramin Grimani un dialogo tra l’artista Karine N’guyen Van Tham di origine franco-vietnamita e l’artista indiana Parul Thacker. Per rispondere al tema della Biennale di quest’anno Stranieri Ovunque, le due artiste si confronteranno col concetto di alterità, mostrando una visione fortemente radicata nel vissuto personale e nell’appartenenza culturale.
Curata da Daniela Ferretti, la mostra illustrerà il tema del filo come mezzo di comunicazione e connessione umana, con particolare enfasi sulla tradizione orientale del telaio, accogliendo tradizione, emozione e metafisica attraverso opere anche site-specific realizzate durante un periodo di residenza delle artiste a Venezia.
Nella pratica artistica di Parul Thacker (Mumbai, 1973) convergono ricamo, fisica quantistica e una forte componente religiosa che dona alle sue opere un carattere di sacralità. Nell’occasione di questa mostra, l’artista realizza un’installazione composta da 18 tele in organza di seta ricamate da entrambi i lati con “mappe energetiche”, scandite da una geometria che sottende studi matematici. Questi disegni metafisici invitano l’osservatore a intraprendere un viaggio nel tempo, attraverso i diversi livelli di memoria e consapevolezza, estendendosi metaforicamente fino al Canal Grande oltre la soglia del palazzo, accompagnato da suoni e frequenze dell’acqua registrati presso i ghiacci del Nord.
«La bellezza di questo lavoro è la trasparenza, perché ogni opera traspare nella seconda, nella terza, nella quarta, e così diventa un concentrato di luce traslucida dei disegni energetici, come una trasmissione, una colonna di luce. Il titolo è “La passeggiata dei viaggiatori del tempo” o “La passeggiata dei viaggiatori del mondo” e la filosofia o scienza di questo lavoro è come un viaggio nel tempo in diversi stati di coscienza», spiega l’artista.
Utilizzando ologrammi che richiamano la cosmologia dei pianeti, Parul Thacker si collega alla pratica spirituale del Tantra, proiettando l’osservatore in un’esperienza multisensoriale di sospensione tra la dimensione del corpo come tempio divino e la dimensione del subconscio, che attraversa diverse frequenze e linee temporali.
Karine N’guyen Van Tham (Marsiglia, 1988) esplora i concetti di eredità, trasmissione e anima dell’oggetto attraverso opere tessili come la reliquia Mon frère. L’artista, dopo un lungo processo di interiorizzazione del lutto della nonna avvenuto durante l’infanzia, riconosce il vestito come «elemento intriso di forza sacra e inattesa, non solo parte di una dimensione profana, ma anche simbolo del lascito». La sua passione per i tessuti si traduce in racconti di guerra, morte e lutto per sottolineare la condizione umana e la sua resilienza.
Per questa mostra, Karine N’guyen Van Tham ha concepito un’opera in tre tempi ispirata alle sue residenze a Venezia, in cui associa la stratificazione di umidità, colore e alghe nelle facciate degli edifici alla propria esperienza di “straniera” vulnerabile. Il materasso, luogo di energia e vulnerabilità, sarà interpretato in tre modi diversi per comporre il trittico site-specific, riflettendo la specularità tra città e corpo umano. L’artista nota che la città lagunare «si decompone al contatto con l’acqua fino a vedere l’ossatura dell’architettura, un po’ come siamo noi nel rapporto con l’alterità, in cui ci apriamo e ci chiudiamo. Anche nei colori si può vedere una muscolatura, come uno strappo nella pelle che si apre fino ad arrivare all’ossatura dell’opera».
Karine N’guyen Van Tham trasforma la materia in qualcosa di nuovo, “altro”, conferendole un’anima e introducendo elementi naturali nelle sue opere, come pigne e lana di pecora. L’artista fonde inoltre scultura e scrittura, evidenziando il forte valore dei legami, la personalità empatica e il suo interesse per la storia medievale. Opera plastica e testo si completano reciprocamente, permettendo al pubblico di comprendere appieno il loro significato. Le parole fluiscono come idee artistiche, dando voce a un processo creativo che scruta le voragini emotive dell’artista.
Così come Parul Thacker si serve di cristalli, metalli, canfora e oro, anche l’artista franco-vietnamita indaga la dualità tra superficie e profondità, creando un paesaggio metaforico che rispecchia la complessità umana. Entrambe offrono una visione evocativa e viscerale dell’alterità e dello scambio culturale, invitando alla riflessione sull’identità e la connessione con il mondo circostante. La mostra sarà aperta fino al 24 novembre 2024.
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