A cura di Andrea Lissoni, Marina Pugliese e Francesco Stocchi, AMBIENTI 1956 – 2010. Environments by Women Artists II è il secondo capitolo della mostra che porta al MAXXI di Roma una serie opere tridimensionali e immersive, tra arte, architettura e design, realizzate da artiste di tre generazioni diverse e provenienti da tutto il mondo. Ai lavori di Judy Chicago, Lygia Clark, Laura Grisi, Aleksandra Kasuba, Léa Lublin, Marta Minujín, Tania Mouraud, Nanda Vigo, Tsuruko Yamazaki, si sono aggiunti quelli di Micol Assaël, Monica Bonvicini, Zaha Hadid, Kimsooja, Christina Kubisch, Nalini Malani, Pipilotti Rist, Martha Rosler e Esther Stocker.
«La mostra rappresenta per le artiste così come per il pubblico un’occasione unica per lavorare con una materia viva, in evoluzione, rispetto alla definizione stessa di un’opera finita. Una scultura, un dipinto, un disegno o un film per loro natura sono “chiusi”. Al contrario l’ambiente, per definizione e per le interazioni che ha, è vivo e questa vitalità si celebra con l’accoglienza e l’incontro con lo spettatore», ha dichiarato Stocchi, nominato direttore artistico del museo nel giugno 2023. Partecipazione, interazione, coinvolgimento sono le parole chiave del percorso espositivo, scandito da opere che richiedono l’intervento diretto del pubblico per essere completate. «Gli ambienti hanno preso forma in un lungo momento di sperimentazione, di apertura, ma anche di immersione in un futuro visionario, tanto tecnologico, rivendicativo, quanto escapista», ha continuato Lissoni.
«Seppur nel contesto di una storia lacunosa, la mancata documentazione degli ambienti realizzati da artiste donne attesta una doppia subalternità», così Marina Pugliese introduce la mostra, partita da una ricognizione storiografica che ha messo in evidenza «Una subalternità resa paradossale dal fatto che in occasioni espositive di rilievo e in ambiti geografici diversi, svariate artiste hanno realizzato ambienti complessi, connotati da stratificazioni di significati, talvolta imperniati su questioni politiche e tuttavia oggetto di riscontro di pubblico e di stampa. Altri spazi, appunto».
La prima opera, nella Piazza Alighiero Boetti, è Don’t Miss a Sec’ di Monica Bonvicini, che invita il fruitore a interrogarsi sul limite tra pubblico e privato. Alla sinistra, il MAXXI progettato da Zaha Hadid è a tutti gli effetti parte del progetto espositivo come involucro e ambiente esso stesso. Diversi sono i possibili accessi in mostra, ospitata in tutto il primo piano del museo. Il primo è la scala che sale dalla hall e che indirizza lo sguardo verso la successione di opere ambientali. A partire dall’opera Red (Forma di una zanzariera) di Tsuruko Yamazaki, costituita da una tenda in vinile rosso sospesa che ricorda le tradizionali zanzariere utilizzate in Giappone. Nella terrazza successiva l’opera di Martha Rosler, If You Lived Here…, mette in luce questioni sociali urgenti come l’emergenza abitativa. Nella terza terrazza, A casa é o corpo di Lygia Clark è un percorso sensoriale che fa rivivere l’esperienza del concepimento e della nascita.
Prima installazione partecipativa di Nalini Malani, Alleyway, Lohar Chawl, mette a confronto il quartiere popolare di Lohar Chawl, dove l’artista vive e lavora, con il quartiere signorile e alla moda di South Mumbai. The Bird Tree, installazione sonora di Christina Kubisch, è un grande albero composto da cavi elettrici che permette di ascoltare canti di uccelli da tutto il mondo. Con To Breathe – nella porzione vetrata della galleria – Kimsooja rende la luce e il riflesso componenti essenziali dello spazio. Proseguendo e inoltrandosi nella Galleria 2 si incontra Ambiente spaziale: “Utopie” nella XIII Triennale di Milano realizzato da Lucio Fontana e Nanda Vigo – uno spazio rilassante in cui il visitatore può sdraiarsi, avvolto da un soffice spazio onirico – e Ambiente cronotopico vivibile, in cui l’immagine del visitatore si moltiplica all’infinito.
L’opera di Laura Grisi, Vento di s.e. velocità 40 nodi, coglie di sorpresa il visitatore con un forte flusso d’aria improvviso. Penetración / Expulsión di Lea Lublin tratta il tema della riproduzione umana attraverso diversi elementi tra cui un tunnel che ricorda il cordone ombelicale. In Sleeplessness, di Micol Assaël, il visitatore è immerso nella penombra di un ambiente vuoto e freddo. Nell’area dietro l’ascensore, la torre d’acciaio We used to know di Tania Mouraud emette ultrasuoni e infrasuoni ed è illuminata e riscaldata fino a 45 gradi. Subito all’uscita, Feather Room concepita da Judy Chicago riempie lo spazio per mezzo metro in altezza con quasi 150 chili di piume.
All’uscita dell’ascensore nella Galleria 4, altro accesso possibile della mostra, la prima opera ambientale realizzata da Esther Stocker nel 2004 si dilata nello spazio, includendo pavimento, pareti, soffitto. L’opera monumentale di Alexandra Kasuba, Spectral Passage, offre agli spettatori l’opportunità di entrare in un arcobaleno, mentre alla sua sinistra il pavimento inclinato conduce a Sip My Ocean, ambiente video di Pipilotti Rist da cui emergono corpi, forme e oggetti ripresi sott’acqua che si sdoppiano e si allontano, per poi ricomporsi e scomparire nella fessura tra i due muri. Proseguendo oltre, verso il Foyer di accesso della galleria 3, nell’ambiente realizzato da Marta Minujín, ¡Revuélquese y viva!, tra materassi di varie forme dipinti a mano risuonano gli iconici successi senza tempo dei Beatles.
Il progetto espositivo è arricchito da Ambiènte Archìvio, un approfondimento realizzato dal Centro Archivi Arte del MAXXI che racconta al visitatore l’evoluzione della ricerca spaziale attraverso le diverse declinazioni del termine ambiente dal 1949 al 2010. Accompagnano la mostra un programma di performance realizzate tra le opere , un fitto calendario di incontri e un film screening pensati per riflettere attorno al concetto di ambiente e come questo sia stato declinato e interpretato nel tempo dalle diverse generazioni di artiste.
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