âDry Salvagesâ di Giulia Cenci è il quinto atto di un ciclo di mostre personali, âTurning to Dust and Bonesâ che P/////AKT ospita nello spazio di Amsterdam in materia di subconscio, memoria e tracce dello sradicamento.
Ad accompagnare la nuova mostra è la poesia di Thomas Stearns Eliot, âChe cosa disse il tuonoâ (What the Thunder Said), tratta dal famoso poemetto del 1992 âLa terra desolataâ (The Waste Land).
Di âDry Salvagesâ, del pensiero che sottende la mostra e delle sue prospettive di lettura ne abbiamo parlato con Giulia Cenci.
Giulia, come si articola âDry Salvagesâ?
Per la mostra ho realizzato tutte opere nuove, lo scorso dicembre non appena rientrata dal Sud America. P/////AKT è un open space intervallato da tre colonne, la mostra si articola negli spazi come se fossero ambienti abitati. Il lato sinistro è popolato da box doccia, che ho collezionato nel tempo, allâinterno dei quali è sempre presente una figura. Come spesso accade, non è una figura completa o didascalica, sono in realtĂ accenni di corpo, volti, maschere, ossa. Talvolta ci sono anche pezzi di lupo o elementi organici, che somigliano a radici ma sono frammenti di vigneto, che si fondono. Insieme danno unâidea, fanno accenno e riferimento a una figura ideale allâinterno del box che il nostro occhio può vedere come uno spazio determinato chiuso, o immaginare come spazio mentale e astratto. Gli accenni sono molto diversi lâuno dallâaltro, nel caso dei volti per esempio sembrano essere trapassati da un segno, come dellâacqua. Il lato destro, che da un punto di vista architettonico sembra un corridoio che si allarga aprendosi a uno spazio piĂš ampio, conduce a una figura che è unâibridazione di ossa di lupi e volti umani. Il suo cranio ha tre volti, il suo atteggiamento, suggerito dallâaccavallamento delle gambe, è quello dellâattesa, dellâosservazione. Il percorso è estremamente libero, la prima impressione è molto carica ma passo dopo passo, opera dopo opera, va alleggerendosi. Lâinsieme risulta uno spazio labirintico, oltre che asettico, come una stanza frigo, un mattatoio, che si può attraversare ogni volta in maniera soggettiva e imprevedibile.
Câè qualcosa, nella mostra, che ti porti dal Sud America?
Da tempo volevo usare i box doccia. Quello che mi ha colpito in prima persona del viaggio in Sud America è che nonostante abbia visitato luoghi estremamente selvatici, scegliendo di dedicarmi a un viaggio a sfondo naturalistico, ciò che poi è seguito in maniera del tutto spontanea è stata una riflessione sempre piĂš forte sullâumano piuttosto che sul naturale. Come se tornando il mio istinto mi avesse portato a sottolineare qualcosa che sento stretto allâinterno della societĂ piĂš costruita rispetto a quella piĂš libera.
âChe cosa disse il tuonoâ di T.S. Eliot accompagna la tua mostra âDry Salvagesâ. Quale pensiero sottende alla mostra?
âLa terra desolataâ di Eliot mi accompagna spesso nel lavoro, dai titoli, ai testi, passando per le piccole citazioni. Porto questo libro con me da tanti anni e mi piace moltissimo, ha una prospettiva estremamente aperta. Ă in un certo senso il mio masterpiece perchĂŠ riesce a unire tante sorgenti differenti, anche dal punto di vista letterario, unendole in un nuovo testo che non è mai didascalico ma sempre una via di mezzo tra una prosa e unâopera poetica quasi completamente astratta. Il valore delle singole parole e delle singole frasi è determinante nel mio lavoro. Il pezzo che ho scelto mi piaceva molto per diversi motivi. Parla di assenza di acqua e di assenza di vita, anche a livello paesaggistico. Mi piaceva e ho voluto legare questi versi, che parlano anche di morte di qualcuno e morte di tutti, a questi box doccia in cui non scorre piĂš acqua. Allâinterno della mostra le docce diventano sono una via di mezzo tra vetrine, piedistalli, incubatori in cui sono rimasti resti di corpi, immobili, freddi, in un certo senso anche deceduti perchĂŠ risultano privi di vita.
Scegliendo questa parte di testo ha voluto lasciare la prospettiva libera e il piĂš ampia possibile.
Quello che mi interessa e riprendo è lâuso del linguaggio e le sue capacitĂ di esprimersi anche in maniera estremamente autonoma. Voglio capire come il lavoro possa svilupparsi tenendo conto del momento in cui viviamo e in qualche modo facendomi da interprete poetica di quello che può succedere o di quello che si può sentire. Usare cose vicine e comuni è una cosa che mi interessa perchĂŠ è un tentativo di avvicinamento al pubblico. Il box doccia è un oggetto che non perderĂ mai la sua connotazione ma, nello spazio, può cambiare fino a farsi contenitore di corpi e oggetti diversi. Qualcosa in cui la vita può crescere come morire. Credo molto nella soggettivitĂ .
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