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Andreae: dal filtro per gli abbattimenti di fumi alla mostra di Tiziano Martini
Mostre
Tiziano Martini celebra la sua decennale collaborazione con A+B Gallery di Brescia con la nuova mostra, Andreae, che riprende il nome di un filtro per gli abbattimenti dei fumi che usa per isolare particelle rilasciate durante le sperimentazioni con la verniciatura, per riferirsi – sineddochicamente – a una pratica artistica che, favorendo un processo quasi meccanico, svela una pittura scolpita e inaspettata.
Delle grandi tele esposte, della serie High Performance Paintings, un allestimento sapientemente calibrato consente di concentrarsi, fin dal primo sguardo, su ciascuna esplosione di colori generata nello spazio.
Roberto Lacarbonara, nel testo critico che accompagna la mostra (aperta fino al 9 settembre), scrive: «Ogni opera diviene. Il suo esito – così come vi appare sopra le pareti della galleria – è solo un possibile stato della materia, uno di enne volte in cui l’artista ha ricominciato a rimaneggiare tinte e vernici dei suoi Infinite paintings, ammettendo i essi l’illimitato, un sempre ammissibile cambiamento».
Tiziano Martini, calandosi nel ruolo dell’artista al servizio della pittura, codifica una progettualità specifica che ha le sue radici, oltre che nella storia dell’arte, nell’ambito della carrozzeria, da dove provengono le vernici poliuretaniche bi-componenti che lui lavora servendosi di levigatrici roto orbitali e rotoeccentriche, lucidatrice rotative e lucidatrici roto orbitali, dischi, abrasivi, diluenti, additivi, stucchi, paste abrasive, tamponi e polish. Non è un caso che questo nuovo ciclo di lavori, coerente con il percorso di Martini, porti alla definizione di una nuova direzione espressiva che trova il suo luogo di generazione nel suo studio trasformato in un garage jobs, termine che indica «l’insieme di lavori eseguiti da carrozzieri professionisti (ma anche non) spesso al di fuori del loro operato nelle officine» – spiega Martini.
All’interno di questo luogo Tiziano Martini agisce come attivatore di un processo che lo porta ad accogliere l’infinita duttilità, gli errori – «occhi di silicone, cali, blistering, crepe, swirls, contaminazioni, crateri, schivature, raggrinzamenti, satinature, opacità, bucce d’arancia, colature, sfarinamenti, fumi, spaccature, graffi ecc ecc» – e sporchetti. Nel glossario a mano libera creato ad hoc per la mostra, Martini spiega gli sporchetti così: «In carrozzeria sono motivo di imbarazzi e aggressioni verbali, fastidi ecc. Sono causati da siliconi o contaminazioni, tipo intrusione di polveri in superficie, e dipendono da vari fattori non evitabili al 100%. Io, ad esempio, in officina eliminavo i difetti di verniciatura, in quanto garzone apprendista di verniciatura. Mi piacerebbe includere la parola “sporchetti” tra le possibili descrizioni della serie in corso; primo perché sdrammatizza e ci parla della contaminazione di polveri sul lavoro, cosa peraltro impossibile da escludere del tutto nel mio studio. Secondo, a me fa venire in mente alcune declinazioni del vedutismo veneziano di carattere scenografico: i “capricci” appunto. Capricci, sporchetti, vizietti… boh, a me ha suscitato questo parallelo. Purtroppo, lo sporchetto riguarda quasi solo ed esclusivamente il trasparente (lo strato finale). E quindi non descrive tutto ciò che sta sotto di esso, nel mio caso un’immagine».
A proposito dello strato trasparente, è dolce l’inganno che si crea alla vista. È davvero pittura? Potrebbe essere una fotografia? Nelle tele di Tiziano Martini ci sono elementi iperdefiniti e altri fuori fuoco come una fotografia mossa di fronte alla quale a nulla vale chiedersi che cosa rappresenti. Nessuna opera, sempre e volutamente intitolata ispirandosi a situazioni in carrozzeria (Garage Jobs, Pig Tails, Se incoi fose vendre saria perfetto cit., Andreae, La pattuglia anti schivatura), raffigura qualcosa. Martini del resto attiva un processo da cui poi si distacca e dal quale accetta, in nome della sua istintualità pittorica, le immagini che si generano.
Ben diverse da dripping o sgocciolature, le immagini di Martini sono figlie dell’impossibilità di decretare una vera e propria fine di un lavoro all’interno del quale finiamo, inevitabilmente, per essere catalizzati. «È inutile vederci fiori, situazioni subacquee, panorami, topografie, immagini al microscopio o serigrafie. È plausibile e, comprensibilmente, si vedono, ma non sono determinanti», dice Tiziano Martini. E allora perché non perdersi in quei casuali concatenamenti di particelle così sempre diversi da ricordarci che la variabilità che gli appartiene non è che il modo di procedere della natura stessa.