Seducente, sottile e misterioso il fascino della fotografia che nella sua molteplice e infinita varietà racconta attimi del poliedrico manifestarsi dell’esistere. Più complesso e sfumato è cogliere in modo poetico attraverso questo strumento l’essenza dei viventi in particolare di quelli in grado di avere coscienza e consapevolezza del miracolo della vita: gli uomini, se non ubriacati dal desiderio smodato di navigare nelle acque torbide del dio denaro, sono in grado di riflettere sull’evanescente mistero del soffio vitale.
Fantastici e variegati stimoli al riguardo sono offerti dal Museo dell’immagine e della fotografia con cui le Gallerie d’Italia, braccio culturale di Banca Intesa Sanpaolo, hanno potenziato la loro offerta culturale in una città dall’antica e razionale struttura urbanistica come Torino che nel “Salotto della città” (come è definita la signorile ed elegante Piazza San Carlo più volte rinnovata), ha visto compiersi l’ardito miracolo, complice l’architetto Michele De Lucchi, di trasformare all’interno dello storico Palazzo Turinetti spazi prima custodi di tesori materiali in ultramoderni 10.000 metri quadri su cinque piani (di cui tre ipogei) dedicati oggi alla fotografia. Per le Gallerie d’Italia si tratta di un quarto polo espositivo che con quelli di Vicenza, Napoli e Milano dà ulteriore lustro alla cultura esplorando il mondo contemporaneo tra passato e futuro.
Nell’ambito della rassegna “Grande Fotografia italiana”, progettata per approfondirne i principali Maestri, curata da Roberto Koch e giunta dopo Lisetta Carmi e Mimmo Jodice al terzo capitolo, il giovane museo torinese fino al 6 gennaio 2025 ospita ARCA di Antonio Biasiucci (Dragoni/CE 1961), uno dei più importanti fotografi contemporanei. Si tratta della selezione di più di 250 opere, realizzate dal 1983 al 2023, che per la prima volta insieme delineano i vari capitoli del “poema utopico” – articolato in diversi ambienti – con cui l’artista campano si propone tramite la fotografia di raccontare la storia degli uomini partendo anche da frammenti autobiografici. Ogni sua serie, infatti, prende le mosse dal suo Io che dialogando con sé stesso attraverso domande e risposte crea percorsi inaspettati e tangenti alle grandi tematiche dell’esistere.
Figlio d’arte (il padre è apprezzato fotografo di cerimonie e abile stampatore in bianco e nero), trascorre un’infanzia e un’adolescenza difficili, in collegio a causa della salute del padre, pur trovando conforto e appoggio reciproco nel forte legame con la sorella Maria e, supportato anche da letture e musiche in voga in quegli anni adolescenziali, ripudia i valori del suo ambiente sognando metropoli e anticonformismo. Nel 1980 si trasferisce a Napoli dove si dedica alle periferie urbane e, provando forti disagi e malesseri, sente l’urgenza di approfondire tramite la fotografia ciò che aveva rifiutato, rivalutandolo: in tale modo ricostruisce attraverso ambienti, riti e persone la propria identità arrivando pian piano a indagare valori universali con l’occhio del “fotografo antropologo”.
Grazie a uno degli stimolanti e singolari intellettuali frequentati che ne arricchiscono la formazione culturale esce il suo primo libro Dove non è mai sera con l’editore Mazzotta. Biasiucci accetta di lavorare all’Osservatorio Vesuviano dove martellina in mano e in foto vive e lavora per una decina di anni in compagnia di scienziati di settore conoscendo i vulcani attivi italiani e maturando competenze che gli permettono di cogliere sempre più ciò che è fondamentale rispetto a quello che è effimero.
Determinante nel percorso formativo di Biasiucci la figura di Antonio Neiwiller (Napoli 1948 – Roma 1993), attore, poeta drammaturgo e regista teatrale capace di legare il mondo della poesia a quello dell’attore: sceglie dell’artista una poesia che l’attore interpreta inventando un’azione da ripetere infinite volte finché i due mondi accostandosi fanno nascere una nuova “visione utopica”. Procedimento che Biasiucci adotta trasferendolo alla fotografia e procedendo prima senza l’apparecchio fotografico per ottimizzare le emozioni e poi per capitoli diversi l’uno dall’altro fino a costruire un’Arca, contenitore del tutto: “poema utopico” come è definito, una sorta di Divina Commedia fotografica per capire il reale arrivandone all’essenza come Dante giunge a Dio. Percorso decisamente originale e anticonformista come Biasiucci sognava di diventare, ma non semplice da cogliere nelle sue diramazioni dove il razionale spesso diventa un fantasma evanescente e inafferrabile.
Entriamo in questa mostra dove, come accennato, si possono vedere per la prima volta i diversi capitoli formati da opere in genere decontestualizzate, “metafore di altro” siano esse singole, sequenze di immagini o intensi polittici. Numerosi i grandi temi trattati nelle diverse serie alle quali ciascuno si approccerà secondo la propria sensibilità.
Perché non fermarsi a riflettere di fronte alle foto dei faldoni dell’Archivio Storico del Banco di Napoli numerati in modo esoterico dal 1600 al 1800 della serie Codex (2015): scrigni di esistenze che in ogni epoca hanno sfidato le difficoltà, in questi casi chiedendo un prestito alla Banca che per erogarlo chiede garanzie raccogliendo storie di vita e motivazioni della richiesta per garantirsene la restituzione: colonne di una città della memoria? Forse un giorno uno studente o uno studioso curioso faranno resuscitare in un saggio micro e macrostorie in cui ogni uomo potrà riconoscersi.
Dall’esistenza dell’uomo, microbo dell’universo della serie precedente, a quella misteriosa della terra magmatica, feroce e distruttiva e nello stesso tempo creatrice, che si autorigenera della serie Magma (1987-1995). Che dire della serie The dream (2016) realizzata a Souda nell’isola di Chios (Grecia) con notevoli difficoltà nel campo profughi i cui volti, mani e piedi decontestualizzati simboleggiano lo spezzarsi dei sogni di molta parte dei migranti di ogni tempo! Di grande effetto Corpo ligneo (2021), serie in cui alberi sradicati o caduti per cause naturali raccontano archeologie del passato o architetture avveniristiche, anche per questa serie il nostro artista teorizza un uso oculato della macchina fotografica inutile nella fase ricognitiva della ricerca poiché limita la capacità di meravigliarsi.
Per quanto non sembri facile capire l’uso notevole del nero come strumento per facilitare la comprensione, Biasiucci è un fotografo di grande sensibilità e capacità che, oltre a numerosissime mostre personali, ha partecipato a esposizioni collettive e a festival conseguendo successi, riconoscimenti e premi di prestigio. Presente con le sue opere in numerosi Musei e Istituzioni in Italia e nel mondo e insegnante in un’Università e due Accademie di Belle Arti, Biasucci ha racchiuso nella foto Epifania (2006) il significato profondo di un’attività che gli ha permesso di contemplare la realtà in modo diverso “cercando in ogni soggetto un senso di rinascita, una epifania”: il suo sogno è scrivere la storia umana attraverso la fotografia.
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