C’è una scena rurale, trasformata in una narrazione epica con carri trainati da cavalli quasi surrealisti: è Four Sisters Dancing, una delle opere di Umesh Shah esposte in occasione di Local Language, la mostra personale dell’artista che approda a Venezia, sull’Isola di San Servolo, dopo la tappa milanese – dall’8 al 14 aprile – in Via Melzo, in occasione del Chaitra Navratri, un festival dedicato al culto della dea Durga e dei suoi nove avatar: Durga, Shailputri, Brahmacharini, Chandraghanta, Kushmanda, Skandmata, Katyayani, Kaalratri, Maha. Gauri e Siddhidatri.
Shah, che è pittore e professore di Belle Arti presso la Tribhuvan University, la più antica università del Nepal, è cresciuto nel Sarlahi, un distretto rurale del Nepal al confine con l’India, e ha trascorso l’infanzia osservando gli affreschi d’arte Mithila – una forma di pittura tradizionale indiana, praticata dalle donne appartenenti alle caste Brahman e Kayastha, nota per l’utilizzo di piante locali come pigmenti, sterco di mucca per il trattamento della carta e bastoncini di bambù o dita al posto dei pennelli – che sua nonna dipingeva sui muri durante le festività religiose e le funzioni familiari.
Questo spunto, dichiaratamente biografico, ha un grande potenziale nella lettura delle opere esposte, che sono manifestazione concreta e visiva di un grande rispetto per la natura e di un rapporto, imprescindibile, tra esseri umani e animali: Freedom, per esempio, è un dittico raffigurante l’attimo in cui un uccello, in gabbia, viene liberato per mano di una figura femminile, primordiale, nobile nei gesti e dai colori insoliti tipici delle divinità; The Mission è un trittico in cui un’altra figura femminile libera un pesce dall’amo; A Shared Life 2 raffigura invece una donna con un agnello.
Tutte le opere in mostra, che riflettono lo stile di vita dell’artista nel Terai e nel Sarlahi, sono ricche di figure archetipiche – che si suppone siano presenti nell’inconscio collettivo, con istinti naturali che presentano e motivano il comportamento umano – di riferimenti religiosi, di simboli semiotici indù, che Shah utilizza come punti focali meditativi per la contemplazione dell’ambiente circostante, e di momenti quotidiani che assumono la dignità di rituali, calando nel contemporaneo antiche tradizioni artistiche locali.
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