Un titolo, che, come spiega il curatore Marco Meneguzzo, riprende un termine creato da Osvaldo Licini e poi riutilizzato da diverse figure vicine a Gianfranco Pardi negli anni Settanta. Indica l’intento dell’artista di realizzare una costruzione “architettonica” dello spazio tramite la pittura. È il desiderio di libertà che l’architettura può vivere solo nella pittura, priva di costrizioni temporali o fisiche. Da sempre interessato alla costruzione “architettonica” dello spazio, Pardi elabora questi temi e soggetti, che sono sia universali che atemporali, in modo totalmente personale.
«In un’epoca di complessità interconnessa, l’ansia è quella di non essere travolti da questa, riuscendo a mantenere una visione delle cose che ci consenta di avere dei punti cardinali di riferimento. Paradossalmente, la prima soluzione che si sceglie di fronte alla complessità è quella della semplificazione: si cerca, cioè, di sfrondare il nucleo delle cose dal superfluo e dal contingente per arrivare a ciò che veramente conta, libero da tutte le sovrastrutture del momento.»
Una retrospettiva, che in occasione del 90° anniversario dalla nascita dell’artista, pioniere della scena milanese dell’arte astratta di respiro architettonico, ripercorre le principali tappe all’interno del percorso creativo dell’artista, evidenziando il rapporto tra gli esiti finali di questa ricerca e i primi progetti realizzati negli anni Sessanta.
Il percorso espositivo, infatti, inizia dagli ultimi due decenni di produzione di Pardi e procede a ritroso, raggruppando tre grandi nuclei di opere, nelle tre sale della galleria.
I primi risultati della rilettura dell’artista delle avanguardie storiche come l’Astrattismo, il Suprematismo, il Costruttivismo e il Neoplasticismo sono i Giardini Pensili, rappresentazioni di esterni architettonici contraddistinti da un grande rigore formale e una semplificazione delle forme e dei volumi.
Sono dei veri e propri progetti che Pardi studiava prima tramite il disegno e poi traduceva in pittura e forme simil-scultoree. Un’ organizzazione costruttivista della superficie pittorica che sfocia negli anni Settanta nel ciclo delle Architetture dove l’architettura prende il sopravvento sulla natura, di fatto eliminandola dal contesto dell’opera. È una fase in cui Pardi introduce elementi reali, cavi d’acciaio, arridatoi e leggere strutture metalliche, con precise funzioni simboliche volte a delimitare lo spazio.
La nuova relazione tra la realtà, rappresentata dai cavi, e lo spazio della finzione ovvero la tela, costringe a ripensare il senso della pittura così come quello dell’architettura, determinando possibilità espressive estremamente originali e autonome.
Il percorso continua con le opere intitolate Casa e Museo degli anni 80, dove ampie superfici bianche lasciano spazio a sottili lembi colorati con campiture monocromatiche gialle, rosse e nere, che potrebbero essere reminiscenze di disegni progettuali.
Un percorso, quello presentato alla Cortesy Gallery Milano che intende mostrare i momenti e le idee chiave che attestano il ruolo di Gianfranco Pardi all’interno della scena dell’arte italiana del dopoguerra, esaltando la versatilità. Un artista capace di inserirsi nel panorama del suo tempo, seppur mantenendo sempre una coerenza individuale nel proprio linguaggio.
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