Cosa vuol dire trovarsi faccia a faccia con Arcimboldo? Cioè, osservare molto da vicino le sue notissime “teste composte” di frutta e verdura e altri elementi, gioielli, armi, libri, che proprio non ti aspetteresti di trovare al posto di una faccia, degli occhi e della bocca. Oppure sì, insomma, il naso a patata è una verità somatica evidente a tutti. Lo chiamavano Manierista, il periodo era quello e il suo gusto per il trompe-l’œil lo conferma come uomo pienamente del tempo e un po’ avanti, quel ‘500 di Umanesimo maturo in cui si stavano preparando le passioni per le metafore e per tutte le altre figure retoriche – un metodo per dire al modo di non dire – che sarebbero esplose nel seguente secolo barocco. Anzi, un po’ neoplatonico, un po’ aristotelico, Arcimboldo è un bel po’ avanti, considerando l’evidente grado di Surrealismo delle sue opere che, addirittura, tende a spostarlo a lato della cronologia, come capita solo ai grandi Maestri. Ammiratissimo in vita per la finezza della sua tecnica e per l’acume del suo intelletto, era il ritrattista ufficiale degli Asburgo, eppure Arcimboldo non è mai stato un Michelangelo, la sua è una figura sfuggente al pari della sua figurazione, dei suoi ritratti bizzarri che ci guardano, sono lì però vogliono dire altro anzi non lo dicono, perché molteplici sono i livelli della nostra percezione, dei linguaggi con i quali, interpretiamo, raccontiamo e trasformiamo le cose. E al modo in cui la sua arte è giunta nel contemporaneo, trasformata come fosse sostanza alchemica e interpretata da altri artisti, manipolatori di materia e di pensiero, è dedicata “Face à Arcimboldo”, mostra in apertura il 29 maggio al Centre Pompidou-Metz, nata da un dialogo tra Patricia Falguières, Antonio Pinelli e Maurizio Cattelan, altro maestro del dire e del non dire facendo dire agli altri (peraltro, attesissima la sua prossima mostra a Milano), con Chiara Parisi, direttrice del museo francese, e curatrice dell’esposizione insieme ad Anne Horvath.
La mostra inaugura il programma di Parisi e prosegue sulla scia di “Effetto Arcimboldo. Le trasformazioni del viso nel XVI e XX secolo”, storica esposizione concepita nel 1987, per Palazzo Grassi, da Pontus Hultén, primo direttore del Centre Pompidou, con Yasha David. E ora, “Face à Arcimboldo” ci racconta l’attualità –oppure l’atemporalità – artistica, formale e concettuale del Maestro lombardo, ripreso da 130 artisti, da Francis Bacon ad Alighiero Boetti, da James Ensor a Ed Ruscha, da Daniel Spoerri a Gustave Courbet, da Albrecht Dürer a Marcel Duchamp, fino ai cadavres exquis di Yves Tanguy, André Masson, Marcel Duhamel, Max Morise, André Breton.
Le 250 opere scandiranno una scenografia che, curata dagli architetti Berger&Berger, suggerirà la cartografia di una cittadella dove le generazioni, le geografie e i linguaggi si combinano. Ad apertura del percorso espositivo, la storica installazione di Mario Merz, ricomposta per la prima volta dal 1987 nelle sue tre componenti originali – Hommage à Arcimboldo, Cono e Table de Chagny – dove si succederanno, al ritmo dei giorni, frutta e verdure. Incontreremo poi la Head VI (1949) di Francis Bacon, in dialogo con i collage di Hannah Höch. E poi Anders (Brighton Arcimboldo) di Wolfgang Tillmans accanto allo Studio per le Catacombe di Palermo di Otto Dix, Untitled (#155) di Cindy Sherman che interpella La Poupée di Hans Bellmer.
Chi volesse fare un salto a Metz in occasione dell’inaugurazione, pandemia permettendo, potrà trascorrere un bel fine settimana. In quei giorni si terrà infatti Week-end Renaissance, con diversi eventi diffusi tra le varie aree dell’avveniristico museo progettato da Shigeru Bang: Simone Fattal disegnerà un giardino con le sue sculture in dialogo con le stele romane del Musée de la Cour d’or di Metz, Bertrand Lavier proporà un mini-golf, Fabrice Hyber metterà in scena una sua famosa performance.
La mostra “Face à Arcimboldo” sarà inoltre accompagnata da un programma di conferenze, spettacoli di danza, letture di poesia e progetti digitali. Fra gli artisti invitati, Daft Punk partecipa al progetto con la proiezione del film Electroma (2006), dove due robot in cerca di umanità si ritrovano nel pieno del deserto della California.
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