Jesi ospita la seconda tappa de La Libera Maniera, con una selezione di opere molto più ampia rispetto a quella aretina, ma sempre del periodo a cavallo tra la conclusione della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni Sessanta in Italia. Un’epoca di rinascita, culturale ed economica, in cui l’Italia e gli italiani provano a lasciarsi alle spalle il conflitto, la distruzione e gli strascichi lasciati dai regimi autoritari. La ricostruzione materiale, civile ed economica va di pari passo con quella culturale o, meglio, di una coscienza culturale e di un discorso che durante gli anni del Fascismo e della guerra era stato segnato dalle restrizioni e dalla censura. La mostra attinge alle collezioni di Intesa Sanpaolo e vuole raccontare un periodo complesso, durante il quale gli artisti hanno intrapreso ricerche diverse, poliedriche, che hanno contribuito a definire un nuovo concetto di “modernità” nell’arte italiana.
L’esposizione jesina, curata da Marco Bazzini, si divide in due parti principali. Nella prima parte del percorso espositivo ci si imbatte immediatamente in grandi nomi della nuova stagione dell’arte del dopoguerra. L’esperienza astratta, tra cui quella di Alberto Magnelli e del marchigiano Corrado Cagli, artisti che già nella prima parte del secolo scorso avevano sperimentato forme non figurative prendendo spunto da linguaggi artistici provenienti in particolar modo dagli Stati Uniti. Rosso Nero di Alberto Burri, un olio con smalti e sabbia di pietra pomice applicati su tela, accoglie i visitatori con i suoi colori intensi. È evidente come il nuovo modo di guardare alla materia dell’artista di Città di Castello, che deriva da una spiccata sensibilità nei confronti del materiale e delle sue potenzialità, rappresenti un passaggio cruciale dell’arte informale.
La pittura cromatica di Afro, Lucio Fontana e la nuova esplorazione dello spazio attraverso i Concetti Spaziali, le cui riflessioni ispirano una nuova generazione di giovani artisti in mostra, tra cui Edmondo Bacci, Gino Morandis, Tancredi Parmeggiani, Cesare Peverelli e Gianni Dova. Carla Accardi e il segno, il gesto di Emilio Vedova, le sperimentazioni sulla forma degli artisti del cosiddetto Movimento Nucleare tra cui Biasi, Regina, Persico e soprattutto Enrico Baj, che con Vedeteci quel che vi pare del 1951 intraprende uno stile pittorico figurativo del tutto personale basato sulla ripetizione di un gesto che sottende però una celata complessità strutturale della composizione. Di Paola Levi-Montalcini l’unica opera non pittorica in mostra, un “intreccio di filamenti cromatici” che dà forma a Struttura (Celiporto), opera del 1952 in legno e ottone verniciati che porta nella dimensione spaziale la ricerca informale che stava prendendo piede in quel periodo. Di Achille Perilli il semplice ma evocativo Un nodo da poco, un “quasi monocromo” in cui l’interruzione del gesto dà forma ad un piccolo ma decisivo groviglio che conferisce un valore rinnovato ad un panorama acromo.
La seconda sezione della mostra si concentra invece su artisti che “superano” l’Informale per intraprendere ricerche artistiche multiformi e dagli esiti necessariamente opposti. Artisti che anticipano le tendenze che prenderanno piede nel decennio successivo, da Toti Scialoja e le sue impronte a Gastone Novelli e la materia-segno, passando per le sperimentazioni di Mimmo Rotella, in mostra con un Senza Titolo che gioca sulla copertura e scopertura di un compensato, materiale di scarto che funge da supporto pittorico e che dà l’idea di essere stato strappato – anticipando ciò che avverrà nei successivi iconici décollage dell’artista calabrese. E poi l’opera polimaterica di una giovane Grazia Varisco, il linguaggio surrealista-astratto di Giosetta Fioroni, l’eleganza dello smalto su masonite di Carol Rama, la ricerca astratta di Rho, Nigro, Munari, Soldati, Dorfles, l’inconsueto lavoro di Bonalumi sul quale la dimensione spaziale prende il sopravvento grazie alla giustapposizione di materiali insoliti come cemento e rami d’albero sulla tela, la ricerca pittorica di Castellani che anticipa le Superfici in Rilievo con Pittura 12/58, che con le sue forme filamentose rimanda all’Action Painting che nel frattempo imperversava oltreoceano e spostava il focus sul gesto e sulla sua unicità piuttosto che sull’oggetto artistico o sul soggetto rappresentato. In mostra, infine, opere di Piero Dorazio, Plinio Mesciulam, Alberto Moretti, Cesare Peverelli, Giulio Turcato e un Arnaldo Pomodoro in veste di pittore informale verso la metà degli anni Cinquanta.
A proposito delle ragioni che hanno portato alla realizzazione della mostra, scrive il curatore Marco Bazzini: “E’ difficile pensare agli anni Cinquanta come a un tempo in cui tutto si svolge con un progresso lineare perché sono anni in cui il divenire è caotico, soprattutto nell’arte che ne è lo specchio; anni in cui si seguono più direzioni, dove tutto sgorga da una dialettica tra più fuochi tra loro talvolta prossimi altre volte molto lontani. Una massa eterogenea di opinioni e pratiche contrastanti che dà origine a un lascito di valori ed esperienze che, come api, impollinano il decennio successivo”.
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