Eleonora Duse mito contemporaneo: questo il titolo della nuova esposizione che ci accoglie nelle vaste sale di Palazzo Cini, dove Renata Codello, Segretario Generale della Fondazione Giorgio Cini, ci ricorda qualcosa di estremamente interessate: mito, dal greco mythos, significa racconto. Ma è molto più di questo: si tratta di una narrazione particolare, densa di potere e misticismo; un qualcosa che, più di tutto, tenta di dare risposte alle grandi domande che gli uomini si pongono sul proprio passato e sul proprio futuro. E proprio in questo senso dobbiamo interpretare Eleonora Duse (Vigevano, 1858 – Pittsburgh, 1924) come mito: un’artista raffinatissima che, attraverso i propri gesti e la propria sconfinata dedizione, è riuscita ad incantare e a parlare ad un’intera epoca di ciò che davvero ci rende umani.
La Duse (che Hermann Bahr definì «la più grande attrice del mondo») ha lasciato dietro di sé non solo emozione, ma anche tutta una serie di incredibili testimonianze materiali del proprio genio e del proprio modo (incantevole) di stare al mondo: abiti, lettere autografe, sceneggiature annotate e così via, oggi riunite nell’archivio dell’attrice, visitabile sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
E proprio da questo archivio sono stati selezionati i documenti più interessanti, le stoffe più pregiate, in mostra ora e fino al 13 ottobre 2024 presso la galleria di Palazzo Cini, per un’imponente mostra realizzata in collaborazione con la ditta Fortuny e che costituisce l’ultimo prodotto dell’Istituto per il Teatro e per il Melodramma, il quale studia la Duse già a partire del 2000.
Tra le varie testimonianze qui riunite, particolarmente interessante è un contratto autografo del 27 aprile 1897 tra Gabriele D’Annunzio e la Duse, un documento che dimostra alla perfezione come i due lavorassero alla pari, in un rapporto di stima reciproca ed elevata competenza che, troppo spesso, viene dimenticato nei manuali di letteratura italiana. Non bisogna, infatti, dimenticare l’impegno della «divina» nel promuovere l’indipendenza culturale delle donne e il loro ruolo attivo nell’Italia del tempo.
Tra la corrispondenza esposta in mostra troviamo, poi, lettere da numerose personalità di spicco e intellettuali dell’epoca, tra cui Arrigo Boito, Mariano Fortuny e Margherita Sarfatti (per la quale l’attrice trasformava «le piccole cose esteriori in grandezza di simboli arcani»), ma anche una piccola Bibbia posseduta dall’attrice, dei candidi e lunghi guanti da sera e uno straordinario orologio Cartier.
Bellissimi, poi, i costumi di scena, dolcemente illuminati tra le vesti trecentesche delle Madonne, che sembrano spiare le stoffe preziose dalle pareti. Tra questi, figura anche un lungo, raffinatissimo abito in crespo di seta realizzato da Jean Philippe Worth e mai esposto in precedenza.
Completano il percorso espositivo il ritratto della Duse realizzato da Arnold Genthe e tutta una serie di fotografie estremamente dolci e intime, che colgono Eleonora non solo assorta nella propria arte, in costume di scena, ma anche in momenti quotidiani che ci ricordano il suo essere una donna vera, in carne ed ossa: un mito, sì, ma un mito profondamente colmo di vita.
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