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ArteNumero. Gli artisti e il numero tra XX e XXI secolo al Museo Archeologico Regionale di Aosta
Mostre
Cinque sezioni in cui il concetto di numero è al centro di una profonda operazione di ricerca. Il rapporto che esso ha avuto con diversi aspetti della vita umana nel corso dei secoli, il suo utilizzo nelle opere dei più grandi artisti del secolo scorso. La mostra del Museo Archeologico di Aosta propone al pubblico una panoramica sull’incidenza che i numeri, il calcolo, il tempo hanno avuto e avranno sempre sulla società, e in particolare su aspetti trasversali che concernono il numero in quanto tale. La mostra inizia infatti dalla sezione “Numero/Tempo”. Qui è centrale il dialogo che si crea tra le opere di Roman Opalka e Franco Vimercati. “Ho cominciato con l’1 e non con lo 0 poiché non desideravo un quadro che provenisse dal non-esistere, convinto dell’idea di una continuità preesistente al mio gesto, e la mia azione di contare, scrivere, sussurrare “Uno” mi ha fatto comprendere quell’Uno, che crea un rapporto concettuale con l’infinito, elemento base del tutto” diceva Roman Opalka in uno dei suoi scritti. Si comprende come il concetto di infinito, di un continuum che non può essere preceduto da niente di reale sia alla base di un artista di cui sono esposti degli autoritratti (fotografie) scattati quotidianamente, oltre che a un lavoro di compilazione di tele e carte con serie di numeri che esalta la ripetitività di quel gesto. In questa sezione sono presenti anche le opere di Franco Vimercati, in mostra con Un minuto di fotografia, manifesto dell’artista milanese sul quale una serie di orologi scandiscono il fluire del tempo attraverso piccole variazioni di inclinazione delle lancette, e un’opera-libro di Carlo Valsecchi su cui compaiono numeri costituiti di led rossi, immersi in uno spazio immaginario, etereo, praticamente indefinibile.
La seconda sezione è dedicata al tema della Narrazione. E chi non citare per primo se non uno degli artisti concettuali più controversi e influenti del secolo scorso come Piero Manzoni e la sua Linea? Una sorta di opera immaginaria anche in questo caso, una serie di linee tracciate e piegate all’interno di tubi che riportano la lunghezza – quella reale? – delle stesse. Vi sono poi le opere di Elisabetta Casella, che ci invita, o ci costringe, ad osservare piccole fotografie attraverso delle lenti d’ingrandimento messe a disposizione del visitatore, che può così fruire della narrazione di una perdita che l’artista racconta tramite la propria creazione. Daniela Comani svolge un’interessante operazione di riscrittura storica, attribuendosi le colpe di una serie di eventi storici in “Sono stata io. Diario”. L’artista bolognese stampa su tela dei titoli di giornale, notizie relative ad avvenimenti che danno forma ad un archivio in cui ogni data corrisponde a un anno diverso. Si prosegue con le opere di artisti internazionali, tra cui spicca il lavoro di Antoni Tapies, che nella sua arte narra l’orrore della dittatura franchista attraverso simboli, segni, numeri: “Nella città in cui avevo l’abitudine di considerarmi a casa mia tutti i muri recano la testimonianza del martirio del nostro popolo, gli arresti inumani…” diceva l’artista spagnolo, la cui tela in mostra è un vero e proprio muro rosso sangue, intenso, violento e inumano come lo è la guerra.
Si passa poi a “Numero e Spazio”. In questa sala figurano le tavole di Cioni Ciorpi, che indaga sul comportamento dell’uomo, animale sociale costretto a trovare degli spazi in cui vivere, abitare, condividere. Andrea “Bobo” Marescalchi cerca invece di ricercare la perfezione aritmetica, legando l’oggettività delle immagini a forme e numeri in ordine sparso. Pebbles è invece il titolo dell’opera di Laura Grisi che costeggia una delle pareti della stanza e cattura in maniera decisa l’attenzione durante la visita: centocinquanta fotografie a colori ritraggono piccoli gruppi di sassi, venticinque cornici ordinate in file da cinque. Una ripetitività che in questo caso racconta la maniacalità dell’artista nella ricerca di combinazioni, una riflessione sull’ordine delle cose nello spazio e su come esso possa essere messo in dubbio. E poi il libro Twentysix Gasoline Stations di Ed Ruscha, libro d’artista che non presenta alcun testo e che documenta un viaggio da Los Angeles ad Oklahoma City tramite l’espediente della pubblicazione, sebbene si tratti in realtà di una serie di immagini propedeutiche alla cancellazione della soggettività dell’artista. Il libro promette esattamente ciò che riporta nel titolo: ventisei semplici fotografie di stazioni di benzina.
E poi l’opera concettuale al neon di Joseph Kosuth, composta da numeri da uno a venticinque, che rientra però nella categoria dedicata alla Narrazione. La penultima sala, dedicata al Segno, accoglie i Dattilogrammi di Maurizio Nannucci, gli oggetti in legno di Robert Tiemann su cui sono giustapposti piccoli numeri anche qui in ordine sparso, un’inedita opera di Luigi Ghirri proveniente dal ciclo di Piazza Betlemme in cui il numero cinquanta è soggetto dell’immagine, punto centrale per dare una direzione a chi osserva. La mostra del MAR arriva al capolinea con una sezione che si concentra sull’Aritmetica, offrendo un interessante spunto sulla più antica branca della matematica attraverso i lavori di artisti quali Mario Merz, Vincenzo Agnetti e Bernar Venet, che tra gli anni ’60 e gli anni ’80 si sono avvicinati in modi diversi ai numeri e a correnti di pensiero che vedevano in essi una possibile risposta alle domande universali. Conclude la sezione Era soltanto un gallo, tesoro di Beatrice Pasquali, la più giovane artista contemporanea esposta in mostra, che esalta l’accidentalità e le infinite possibilità offerte dal calcolo combinatorio.