La mostra “Ezio Gribaudo: Itinerari – New York, Venezia, Torino, 1961-1978”, a cura di Stefano Cecchetto, ha aperto nell’affascinante cornice di Palazzo Contarini del Bovolo, a Venezia. Con la sua celebre scala a chiocciola, il Palazzo è un luogo unico e suggestivo, gioiello architettonico nascosto nell’intimità di una corte, al punto che lo si deve cercare, per poter alzare gli occhi e farvisi sorprendere. Il palazzo veneziano è come una guida accogliente nella celebrazione del percorso di Ezio Gribaudo (Torino, 1929), fatto di avvenimenti, ricordi, influenze e suggestioni susseguitesi nell’animo dell’artista, in particolari e intensissimi anni che hanno visto l’evoluzione del suo stile e l’affermazione del suo successo.
La mostra di Venezia mette in luce il ruolo di Gribaudo come intellettuale, artista, collezionista, editore, amico di artisti, protagonista nell’elaborazione di un linguaggio vario e mutevole, grazie alle peregrinazioni professionali nel mondo, da Parigi a Mosca e New York, dalla Spagna a Cuba, dalla città lagunare, negli anni in cui era cuore palpitante e centro per l’arte, a Torino, città di origine e vita. L’intenzione infatti è quella di ricreare la dinamicità della sua biografia, fatta di incontri e scontri, al centro di un’arte pienamente internazionale, espressione del mondo di relazioni e influenze multiformi, assorbite, inconsciamente riproposte, volutamente manifestate.
Nella mostra, viene raccontato il legame con l’amico Lucio Fontana nella preparazione del volume Devenir de Fontana, curato da Michel Tapié e presentato nel novembre 1961 alla Martha Jackson Gallery di New York. Un sodalizio fatto di fotografie, video e incontri, preziosa testimonianza del loro vissuto nella scoperta della città . Il risultato sarà Diario di New York, un ciclo su carta eseguito con raffinatissime tecniche miste che racconta tramite astrazione e, parallelamente, con un ritmo di linee, colori e volumi, la personale impressione dell’artista sulla città americana.
La vittoria del Premio per la Grafica alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1966, caratterizzata da una tendenza storicizzante e da una sorta di rappel à l’ordre rispetto alla precedente edizione – quella che segnò l’affermazione della Pop Art americana – consacrò il suo genio artistico per una serie di rilievi, incisi a sbalzo su carta, i Logogrifi, in cui emerge l’esaltazione del bianco su bianco, come un’audace costellazione poetica di forme che affiorano dalla superficie.
La raffinatezza del monocromo si unisce alla preziosità della tecnica, in una composizione di simboli che evoca le forme primordiali dei fossili. Il legame con la laguna è forte: nel 1961 e 1963, l’artista aveva esposto, alla Galleria del Cavallino, la serie dei Simboli del Concilio Ecumenico, ed era divenuto amico e frequentatore del salotto di Peggy Guggenheim.
Nella sua città strinse un rapporto di filiazione con Giorgio de Chirico, di cui realizzerà la grande monografia artistica con Fratelli Fabbri Editore, riuscendo a districare il vasto materiale, sotto la cura dalla moglie dell’artista, Isabella Far, con una sequenza ragionata, intelligente e precisa. Fu un editore sagace ma condusse il suo lavoro con la comprensione e sensibilità che solo un artista può avere. Il sodalizio e l’amicizia tra i due continuò ed Ezio Gribaudo ne fu continuamente contagiato, producendo una serie di Omaggi a De Chirico che rivalutano la metafisica con l’estro della leggerezza.
E questa è solo una parte della sua intensa vita (qui i nostri auguri per i suoi novant’anni), fatta di arte, cultura, relazioni e bellezza.
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