Una varietas di forme espressive ruotanti intorno al tema del libro come materiale da costruzione dell’opera d’arte. Così si presenta la mostra La Biblioteca del Mondo, inaugurata alla Fondazione Memmo il 12 dicembre, a cura di Marcello Smarrelli. Il titolo, mutuato dal docufilm (2022) di Davide Ferrario – un focus sul rapporto tra Umberto Eco e i suoi 40mila libri – intende trasmettere al fruitore la volontà di restituire una rappresentazione di biblioteca come fonte inesauribile dell’immaginario collettivo. Un’operazione che sembra riuscita in maniera frazionata. Le opere esposte si dividono nettamente tra il concettuale-analitico e l’effimero-periferico.
Se in Equilibrio di Paolo Icaro (1936, Torino), il libro è perno centrale e veicolo di un messaggio politico e filosofico, le sculture site-specific di Francis Offman (1987, Butane), cinque volumi coperti da uno strato di caffe e sorretti da calibri, evocano questioni etniche e identitarie. E, a proposito di identità, riflette anche Nicolò Degiorgis (1985, Bolzano) con l’installazione Heimatkunde. Una casetta costruita con quaderni fitti di mappe geografiche, appunti, schemi. In Alto Adige, infatti, fino agli anni Novanta del ‘900, i piccoli venivano stimolati a costruire la propria individualità a partire dalla scoperta del territorio circostante.
Da ultimo Claire Fontaine, il celebre collettivo fondato a Parigi nel 2004, adopera il formato libro, defunzionalizzato, come rimando ad una pratica sociale in vigore negli anni ’70. Quando mattoni avvolti da un messaggio di protesta venivano scagliati contro vetrine e finestre. Nella serie Brickbat (2002-2023), una costellazione di mattoni posati a terra è rivestita da copertine di libri scritti da intellettuali che hanno segnato la storia della cultura a partire dagli anni ’60.
Effimera per quanto suggestiva, stratificata e visivamente poetica, l’installazione di Ekaterina Panikanova (1975, San Pietroburgo), fra rami d’albero, disegni a china e inchiostro e bicchieri di cristallo. Deboli o poco chiare le connessioni con il tema della mostra, per gli still di Yael Bartana (1970, Israele). Epidermica la trilogia di stampe di Kapwani Kiwanga (1978, Hamilton). Poco avvincente la video-installazione di Bruna Esposito (1960, Roma), se è vero che non basta una pila di libri dai titoli abilmente celati e un’interpretazione segnica dell’Infinito di Leopardi, per trasmettere un messaggio di qualche rilievo.
Aprono e chiudono l’iter espositivo gli interventi di urban art di Marcello Maloberti (1966, Codogno), tra le finestre di Palazzo Ruspoli al Corso e il cortile delle Scuderie. Appariscenti citazioni, in sfoggio estetico, tratte dal suo stesso libro MARTELLATE SCRITTI FIGHI (1990-2019).
La mostra sarà visitabile alla Fondazione Memmo di Roma fino al 21 aprile 2024.
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