Camminando tra varie serie di spade tanto robuste quanto finemente cesellate e schiere di archibugi dalla complessa meccanica messa minacciosamente a nudo, la prima cosa che si pensa è: ‹‹Ne abbiamo create veramente delle belle, per farci male››. Ma nel Museo Civico Medievale di Bologna ci sono anche altri oggetti dal design ugualmente suggestivo pur se meno indicati per l’offesa del prossimo, tra paramenti sacri in avorio, formelle decorate e uova di struzzo. Certo, che siano lame o statue, i valori simbolici potrebbero non essere poi così differenti eleggerli è anche semplice, in fondo si tratta di oggetti realizzati per funzioni piuttosto specifiche. Al contrario delle opere d’arte – almeno come le intendiamo oggi – che non devono assolvere a compiti immediati, pratici. E questa è la seconda cosa che si pensa, tra le tante assonanze e divergenze che si potrebbero formulare, osservando le opere d’arte contemporanea mimetizzate proprio lì vicino, tra la corazza di un cavaliere e una lapide nobiliare. In questi giorni di Art Week e Arte Fiera in cui Bologna è tutta volta al contemporaneo, l’occasione di questo dialogo con la storia è data da “Traces”, mostra presentata dal Museo Medievale, in collaborazione con Z2O Sara Zanin Gallery, a cura di Marina Dacci. In esposizione le opere di sette artisti interessanti e attivi: Ibrahim Ahmed, Kaarina Kaikkonen, Beatrice Pediconi, Nazzarena Poli Maramotti, Silvia Camporesi, Giovanni Kronenberg, Evgeny Antufiev.
Esposte è una parola che non rende la sensazione di scoprirle, mettendosi sulle loro tracce, un po’ per una scelta curatoriale di evitare l’invadenza ma anche per la stessa materia di cui alcuni artisti rivestono le proprie idee e che, in qualche modo, sa di antico. In alcuni è più evidente che in altri, ovviamente. Succede per esempio con gli idoli di bronzo, ottone e legno di Antufiev, con le protesi di legno assemblate à la ready made di Kronenberg e con i tessuti imbevuti di pittura di Ahmed, che creano una continuità distorta con gli oggetti della collezione del Museo. In altri casi invece il dialogo è più pacifico e si svolge per assonanze di colori, come tra la preziosità dell’avorio e il bianco delle carte di Kaikkonen, oppure tra le strutture fotografate da Camporesi e l’architettura stessa del Museo. Insomma, un’associazione di pensieri e di suggestioni tira l’altra. Forzate? Direi più inevitabili.
Per scoprire “Traces” tra le sale del Museo Medievale vi sarà fornita una pratica mappa ma è divertente anche senza.
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