Prima atelier, poi esposizione. Le opere materiche, esplosive – eppure compassate – di Bosco Sodi trovano casa, fino al 27 novembre, nel Sestiere San Polo, negli interni opulenti di Palazzo Vendramin Grimani. E anche prima in realtà, tra i mesi di febbraio e marzo 2022, con la residenza dell’artista messicano organizzata al piano terra della stessa struttura. Titolo della mostra: What Goes Around Comes Around, a cura di Daniela Ferretti e Dakin Hart. Obiettivo: creare lavori nuovi ispirati proprio da Venezia – la città che, un secolo dopo l’altro, ha dato vita a incontri, racconti, storie, tutti intessuti di dialoghi reali e immaginari. Parola d’ordine: «caos controllato», come il processo creativo di Sodi. Per dare un ritmo alla realtà, ai suoi schianti, a quegli scambi senza fine, eppure unici, tra terre ed epoche lontane.
«Lavorare a Venezia alla Fondazione dell’Albero d’Oro è stato molto stimolante», racconta a exibart l’artista Sodi, «quasi una sfida per me, perché sono abituato a lavorare in spazi ampi che mi permettono di muovermi con molta libertà. D’altra parte», aggiunge, «nell’atelier temporaneo che è stato realizzato al piano terra di Palazzo Vendramin Grimani, dovendomi adattare a spazi molto più stretti, ho avuto modo di entrare davvero in dialogo con l’edificio e la sua conformazione. Il risultato delle mie opere è strettamente legato al posto in cui lavoro: anche se uso gli stessi strumenti e materiali, ogni tela sarà diversa in base al luogo in cui è stata prodotta».
Ed ecco allora i suoi dipinti dai colori intensi, che scandiscono lo spazio a suon di materia e irregolarità. Materia grezza, s’intende, fatta di segatura, pasta di cellulosa, colla, pigmenti, che si incontrano inermi sulla tela di Sodi. La rivincita del non raffinato, del grezzo. Della materia pura, originale. In contrasto con gli spazi monumentali del palazzo, con gli intonaci e le tappezzerie, e poi le travature lignee, gli stucchi ottocenteschi, la luce cangiante che dà un’anima a tutte le cose. «Non riesco mai a ricordare precisamente l’anno di realizzazione di un’opera», spiega ancora Sodi, «ma guardando la superficie posso dire subito se l’ho fatta a New York, Madrid o, appunto, a Venezia. Questo accade perché lascio agire sulla superficie delle opere gli elementi atmosferici come la luce e l’umidità. Voglio che le tele riportino materialmente i segni dell’ambiente che caratterizza il luogo in cui sono nate».
Tele come mappe geografiche, superfici vive che respirano l’atmosfera del luogo, ne registrano cambiamenti, legami, odori, tradizioni. Ma non solo. L’installazione di Sodi prevede anche una sezione più interattiva, con 195 sfere d’argilla modellate con la terra di Oaxaca e poi poggiate, sparse, sul pavimento del palazzo. 195, come gli stati-nazione esistenti sulla Terra: ogni visitatore potrà spostarle e dare un senso a quei piccoli globi sparpagliati; in parallelo, una serie di fotografie documenterà l’evoluzione dell’opera – quasi un racconto in continuo divenire; al termine della mostra, i residenti della città potranno portare una sfera con sé, eredi consapevoli di un passato di scambi, ora simbolici, ora solo materiali. What Goes Around Comes Around.
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