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‘Broken in three places’ un dialogo sull’archeologia delle ‘cose’ alla Galleria AplusA di Venezia
Mostre
Se ciò che la società ci presentasse non fosse il solo modo di vedere le cose? Se esistessero delle vie alternative attraverso le quali potremmo rapportarci con la stessa realtà in modo completamente diverso?
Questi sono i quesiti a cui Sophie Jung e Maeve Brennan cercano di dare risposta, traducendo i loro ragionamenti in opere d’arte, esposte fino al 31 ottobre nella Galleria AplusAdi Venezia.
L’esposizione, Broken in three places curata da School for Curatorial Studies Venice, è frutto di una commistione del lavoro delle due giovani artiste, legate rispettivamente l’una ai generi delle arti visive-performative, l’altra a quello fotografico.
La mostra vuole farci riflettere attorno a quei costrutti sociali che inducono ciascun individuo a vedere gli oggetti attraverso un solo filtro, legato prettamente alle funzioni per le quali sono stati ideati. Per farlo, Sophi Jung si avvale della scultura, utilizzando quegli elementi che meglio non potrebbero rappresentarsi per ciò che più-non-sono, ossia gli scarti della nostra produzione.
Gli elementi di recupero, da lei riassemblati e riprogettati, vanno così a comporre lo scheletro di una nuova forma con una propria personalità, completamente slegata da quelle proprietà precedentemente attribuite alle parti di cui ora è costituita. Questa nuova voce ci comunica che il materiale spesso non è solo per quello che ci appare ma che talvolta può essere portatore di nuovi, differenti e numerosi significati.
Maeve Brennan cerca di proporre una soluzione a quei quesiti iniziali attraverso l’utilizzo di differenti supporti, fotografico e multimediale. Lei si avvale di foto d’archivio, ritraenti la testa di una divinità attica ritrovata a seguito di scavi archeologici, il cui corpo era stato smembrato in ulteriori due parti, e di un-video muto nel quale ritroviamo un’anfora ricomposta dai reperti che la costituivano. Ecco che qui il tema della rinascita si concretizza nel ritrovamento, e successivo riassemblamento, dei frammenti archeologici.
L’esposizione ci presenta dunque due letture attorno al tema di come, da elementi che più-non-sono, si possa giungere a un qualcosa con un significato diverso, se non addirittura accresciuto, rispetto a quello di partenza.
Negli ultimi anni Sophie Jung ha esposto le sue opere in numerose mostre personali, fra le quali ricordiamo Sanetroyem all’EAShared Space, They Might Stay The Night al Casino Luxembourg, Unsetting all’Istituto Svizzero a Milano e Il sonno più grande al Kunstmuseum Basel.
Pure Maeve Brennan si è distinta recentemente con molteplici personali, che includono Horses and Angelspresso Galerie fur Gegenwartskunst, Uno scavo alla Stanley Picker Gallery a Londra e La Deriva presso laGalleria Chisenhale a Londra.