«Abbiate cura di credere a questa terra» ha scritto qualche anno fa Franco Arminio a proposito della Calabria, terra dove il mare sale alla montagna e le montagne scendono verso il mare, dove il cielo è vicino e lontano, dove la natura è agitata, a cui Fondazione Elpis dedica 39° NORD 16°30’ EST, un progetto espositivo articolato in due mostre: Simposio, mostra collettiva degli esiti della residenza artistica In-ruins (che nel 2023 ha ottenuto un sostegno dalla Fondazione e dal programma Culture moves Europe) con le opere di Arie Amaya-Akkermans, Simon DeReyer Bellouard, Cañadas & Murua, Beatrice Celli, Akshay Mahajan, Matilde Sambo e Traslochi Emotivi, e ‘Nziembru, mostra personale di Fabrizio Bellomo.
In principio è Deposta, performance di Traslochi Emotivi, che si offre alla vista per ciò che ne resta. Ma cosa resta di una performance? Oggetti della terra calabrese, a testimoniare un contatto diretto e una relazione locale, un video, che documenta l’azione performata nel Parco Archeologico di Sibari, tagliato in due da una strada statale, che la performer attraversa: supera limiti, corre rischi. L’energia è mobile, come Abramovic aveva teorizzato nel suo manifesto. Ma c’è di più: Fondazione Elpis ospita un nuovo re-enactment di Deposta, che dialoga con i resti iconici delle azioni precedenti, riattivandone il tempo, lo spazio e la presenza con l’occasione di farsi deriva e dimora della terra calabrese, che non ha ricostruzione se non a ritroso, nella memoria di custodi e guardiani di un Sud disabitato e fantasmatico dove è però tuttora possibile agire.
Resta, dunque, una present-azione dell’hic et nunc riproposto in un movimento reale che è determinato dalla sua unicità. Questo vale per la performance – che significa la prima volta, così come la seconda, fino all’ennesima, senza alcun mero ritorno all’identico – come per le opere prodotte nel corso della quarta residenza In-ruins che Arie Amaya-Akkermans, Simon DeReyer Bellouard, Cañadas & Murua, Beatrice Celli, Akshay Mahajan, Matilde Sambo e Traslochi Emotivi hanno riconfigurato in Fondazione dimostrando che il processo creativo iniziato in Calabria è rimasto attivo e ispiratore anche dopo la residenza all’interno dell’esteso paesaggio di Amendolara, di Sibari e del suo Parco Archeologico e Museo Nazionale.
La Collana per Gigantesse, e insieme gli Anelli per Gigantesse di Beatrice Celli, che lavora all’interno della cornice del folklore, sono una rielaborazione femminile, più che femminista, di elementi apotropaici che si legano alla storia della donna. Fin dai titoli è chiaro il riferimento al mito mediterraneo, ancor prima che greco, delle Gigantesse, a cui Celli ha potuto ispirarsi – grazie al ritrovamento, in Calabria, di alcuni manufatti originali – per tracciare anatomie perturbanti e mondi femminili possibili. Nell’allestimento curato da In-ruins, a Milano, la natura mitologica di queste opere – anche fortemente collaborativa, è evidente, quando riconosciamo che i supporti degli Anelli di Celli sono gli stessi elementi usati nella performance di Traslochi Emotivi – è un ponte che da Celli conduce all’opera di Simon DeReyer Bellouard, Untitled, documentativa, a livello fotografico, di un progetto di carattere autobiografico, performativo e teatrale, che porta lo stesso artista a situarsi in situazioni probabili, come trasformarsi in un essere chimerico contemporaneo.
Il percorso prosegue con il duo cileno Cañadas&Murua, che per realizzare Sedimentazione del Paesaggio ha innanzitutto preso in prestito delle scatole originali, un tempo contenitori di reperti del Museo, per trasformarli in contenitori di terra del sito, lavorata con residui di produzioni del territorio di Sibari (liquirizia, mandarino, olive, per citarne alcuni) e riproposta con la caratteristica pavimentazione a lisca di pesce. Matilde Sambo propone Irabis, un’installazione impermanente che – rapportata all’esperienza biografica della città di Venezia – raccoglie una serie di sculture in argilla di ispirazione architettonica, destinate a sciogliersi, che si ergono e disperdono tra erosivi specchi d’acqua evocanti destini intimi, planetari e geologici.
All’estremo opposto dell’opera di Simon DeReyer Bellouard è collocato L’Archivio dell’Invisibile di Akshay Mahajan, che esplora i depositi del Museo Nazionale Archeologico di Amendolara e racconta il lavoro silenzioso di archivisti, tipografi, fotografi e tecnici. L’asse che si crea ci riporta alla dimensione performativa, all’interno della quale rievocare un passato implica un atto creativo il cui tratto essenziale è la capacità di condurre l’azione nel margine più o meno stretto, ma densamente ricco di possibilità, che si apre tra il preordinato, ovvero la partitura, e il contingente, ovvero l’occasione concreta e sempre differente di ogni singola esecuzione.
Simposio termina con Go Straight to the Right, Having Kept Watch on All Things Very Well una lecture di Arie Amaya Akkermans, confluita in un video, che si fa metafora della domanda fondamentale che attraversa l’intero discorso espositivo: cos’è, in ultimo, un fatto archeologico?
Con questa domanda si lascia Simposio e, scendendo al piano inferiore, si accede a ‘Nziembru, mostra personale di Fabrizio Bellomo che prende il nome dai modelli guida propri di una tecnica di tessitura al telaio manuale tipica dell’area della Sila Greca in Calabria. Per realizzare gli arazzi esposti Bellomo orchestra un processo collettivo, partendo da un disegno realizzato da sua mamma e affidandosi ai gesti e al sapere di una tessitrice calabrese che dà forma a Cappuccetto Rosso e un Non Finito, La Contadinella e un Non Finito e La Mietitrice e un Non Finito: chi è il Non Finito sempre protagonista, che si integra con la decorazione tradizionale generando nuove iconografie? È lo scheletro di uno di quei palazzi non finiti, appunto, di cui è punteggiato il territorio calabrese e a cui Bellomo dà il significato di «ultimo tentativo di resistenza di un’altra cultura, quella sconfitta».
Il processo di realizzazione degli arazzi è raccontato nella forma di un diario di viaggio che ripercorre e documenta momenti diversi del percorso alternandoli a materiali d’archivio e riflessioni sulla storia e sul territorio calabrese. Il video fa parte di un’installazione a doppio canale a cui si affianca una ricostruzione video in 3d, realizzata dal fotografo Armando Perna, che narra visivamente della progettazione di un palazzo non finito di proprietà della famiglia di Bellomo: «La mia famiglia possiede ancora in Calabria uno di questi palazzi non finiti, voluto fortemente da mio nonno. L’edificio, come molti altri sul territorio, presenta un primo piano finito e i piani superiori mai terminati e in stato di totale decadenza, poiché nessuno dei figli ha mai completato quello che sarebbe dovuto divenire il proprio piano dello stabile».
Dalle vicende umane di Bellomo e dagli esisti di Simposio di In-ruins risuona un Sud magico, una Calabria ebbra di viscere e cielo, di mani che mutano il paesaggio e di riti che consacrano il tempo a cui si, è bene avere cura di credere.
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