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Capolavori in vetro di Murano sull’Isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia
Mostre
di Zaira Carrer
Sono circa 160 i pezzi in vetro di Murano presentati alla Stanze del Vetro, sull’isola di San Giorgio, in occasione della mostra 1932-1942. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia. L’esposizione, a cura di Marino Barovier e visitabile fino al prossimo 23 novembre, prosegue il percorso iniziato nel 2024 dedicato alla presenza della caratteristica produzione muranese alla Mostra Internazionale d’Arte.
In particolare, il focus, quest’anno, ricade sugli anni che vanno dal 1932 al 1942 che coincidono, rispettivamente, con l’apertura del padiglione Venezia alla Biennale e con l’ultima edizione di quest’ultima prima dell’interruzione dell’evento a causa della Seconda Guerra Mondiale.
Se ormai ci pare difficile immaginare vasi, piatti e altre eleganti produzioni in vetro negli spazi della prestigiosa esposizione veneziana, in realtà questo materiale è parte integrante della sua storia. A partire dal 1932 esso diventa protagonista di uno spazio dedicato alle arti decorative all’interno del padiglione Venezia: una decisione, questa, che non solo permetteva una necessaria rivitalizzazione del mercato locale, ma anche un confronto diretto con un ampio pubblico, con maestri internazionali e con l’arte del tempo.

Oggi, la mostra alle Stanze del Vetro mira perciò a sottolineare come l’artigianato di Murano abbia connotato fortemente la storia della Biennale, anche nella speranza che ciò possa riaccadere in futuro. Proprio per mettere in risalto la maestria muranese, l’esposizione non segue un filo cronologico o un percorso tematico, ma si costituisce piuttosto in nuclei che permettono di concentrarsi sulle varie fornaci che si sono distinte negli anni presi ad esame.
Tra queste vi è anche la Venini S.A. che si avvalse della collaborazione di niente meno che Carlo Scarpa, intercettando in questo modo lo spirito di un’epoca che richiedeva nuove eleganti forme dalle produzioni in vetro. Da questo sposalizio nascono i bellissimi vetri sommersi, presentati alle XIX Biennale di Venezia, ma anche coppe in vetro a murrine opache, piatti con decori astratti e molto altro ancora.
Raffinatissimi sono anche i vasi crepuscolo della fornace Toso-Barovier: produzioni dai colori scuri, dove filamenti terrosi sembrano rimasti intrappolati appena sotto la superficie.

Dalla fornace Zecchin Martinuzzi provengono invece tutta una serie di manufatti in vetro rosso, verde, ametista e bianco impreziositi da foglie d’oro. Sono lavori essenziali, dall’aspetto materico, esposti per la prima volta alla Biennale del 1934 nella vetrina dedicata ai tessuti d’arte.
E poi ancora: una deliziosa coppa verde e ambrata di Luigi Scarpa Croce su cui è appollaiato un piccolo coccodrillo, i vetri in tessere colorate di Salviati e C. e tutto un susseguirsi di vasi dai colori e dalle dimensioni più diversi, che riflettono la luce della stanza e chiedono soltanto di essere ammirati.
La capacità tecnica e creativa di questi artisti è evidente in tutte le sale dell’esposizione, che funziona perciò non solo come un resoconto di ciò che è stato, ma anche come un invito a riconsiderare il vetro di Murano come un materiale che potrebbe rivelarsi prezioso ance per il futuro della Biennale.
