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«Una versione potenziata della mostra inaugurale tenutasi a Shanghai nel 2016, che omaggia quell’indimenticabile giornata in cui con i nostri artisti siamo diventati parte di un’esperienza collettiva.», spiega Enrico Polato, il fondatore.
Un’estensione, non solo fisica, della galleria Capsule Shanghai, che apre una sua nuova sede negli spazi della Fondazione Marchesani di Venezia, ma anche un’estensione dell’impegno della galleria madre cinese, nella promozione di giovani artisti, cinesi e non.
Infatti, fin dagli esordi «la galleria si è posta come un centro di scambio e dialogo tra professionisti del mondo dell’arte, realizzando nel corso di sette anni oltre quaranta mostre[…] lanciando la carriera di una nuova generazione di artisti in Cina nonché nel resto del mondo.». Un impegno che continua nella sede veneziana che si propone come una sorta di think-tank culturale, una piattaforma aperta.
La programmazione di mostre, per tutto il 2024, si prospetta molto interessante, curata interamente da Manuela Lietti, ha l’obiettivo di attivare per tutto il corso dell’anno gli spazi interni ed esterni della Fondazione, instaurando un dialogo costante con il tessuto urbano di Venezia, i suoi abitanti e le sue istituzioni.
Cosa ci racconta questa mostra? Da un lato presenta artisti che, in alcuni casi per la prima volta, espongono in Europa e li mette strettamente in dialogo, facendogli condividere gli stessi spazi, in modo da creare interessanti alchimie. Dall’altro è un interessante modo per vedere il metodo di lavoro di Capsule Shanghai. Ci racconta cosa vuol dire gestire uno spazio che punta principalmente ad artisti emergenti, instaurando un processo di crescita reciproca e dialogo continuo con gli artisti.
Ma è anche un abbraccio. È forse questo il gesto che racchiude meglio sia la mostra che questo legame tra gli artisti e la galleria. Ed è proprio così che inizia anche When We Become Us², con l’opera Abbraccio di Alessandro Teoldi del 2022. Il percorso procede poi, come un intersecarsi di diversi cammini,sia all’interno dello spazio espositivo, project space, vip room, uffici e piano nobile, sia all’esterno, tra la serra e lo spazio galleria, dove i lavori sono raggruppati per macro-sezioni che rispecchiano le tematiche su cui Capsule si è interrogata nel corso degli anni.
I paesaggi e le risonanze metaforiche delle opere di Daniel Chen, Yao Cong, Rudy Cremonini, Adrian Geller, Kong Lingnan e Elizabeth Jaeger, convivono con immagini che fondono il regno naturale, quello artificiale e quello urbano, «sottolineando i paradossi della vita contemporanea così come vissuta non solamente in Asia, ma a livello globale (ad esempio, nel lavoro di Gao Yuan).» Esperienze futuristiche ma anche una bellissima sezione dedicata a identità, sessualità, al genere e al flusso continuo dell’energia che si irradia dal corpo, «ancora oggi il prisma più sfaccettato attraverso cui leggere il più ampio spettro delle emozioni umane», spiega la curatrice.
Le intense sculture carnali di Douglas Rieger, sono seguite dagli acquerelli di Wang Haiyang, ripresi dalla serie che Capsule Shanghai ha presentato a Liste 2021, con un solo project dell’artista,‘Human, Beast, Ghost’, che rappresentava una sauna gay di Beijing. Nella stessa sala si instaura così un dialogo con l’opera di Liao Wen e con la sua rappresentazione delle sensazioni corporali di ogni tipo, bloccate e catturate nella sua opera.
Una ricerca che si intreccia inevitabilmente con quella incentrata sull’appropriazione di stilemi storici e iconografici e la rilettura del linguaggio della pittura, filo conduttore delle opere delle dettagliatissime miniature di Chris Oh, che riportano incredibili dettagli di pale fiamminghe.
Un ventaglio di linguaggi da scoprire, dalla pittura alla scultura, dall’installazione alla fotografia. Uno spunto di riflessione che verrà approfondito nelle prossime mostre durante l’anno, tra personali e nuovi artisti, che si prospettano trasformare Capsule Venice in un punto di raccordo «in cui artisti, collezionisti, professionisti del settore, pubblico e la comunità in generale possano passare dall’essere unità indipendenti fatte da tanti “noi” esclusivi (we) al diventare pienamente “noi” inclusivi (us). »