05 gennaio 2025

Carne e spiritualità al centro della mostra di Antonio Obá al Centre d’Art Contemporain di Ginevra

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Quella che il CAC di Ginevra presenta, prima della sua imminente chiusura per lavori di restauro, è la storia della rapida ascesa dell'artista brasiliano, nei cui lavori si condensano tra loro l'umanità e la spiritualità dell'America Latina

ntonio Oba, Malungo, rito para una missa preta, 2016. Dimensioni variabili, collezione privata

Il Centre d’Art Contemporain (CAC) di Ginevra mette in scena la sua ultima mostra prima della chiusura per il restauro dell’edificio che ospita anche il MAMCO e il Centre de la Photographie. Si tratta della prima personale in Europa dell’artista afrobrasiliano Antonio Obá (1983, Ceilândia, Brasile. Vive e lavora a Brasilia) scoperto alcuni anni fa dal direttore artistico del CAC, Andrea Bellini, durante la sua prima mostra alla galleria Mendes Wood DM e rivisto in una monografica alla Pinacoteca do Estado de São Paulo nel 2023. Obá è legato a una storia particolare: dedito all’insegnamento per 15 anni, è stato casualmente notato dal curatore brasiliano Renato Silva che lo ha presentato alla Mendes Wood DM, lanciandolo sul piano internazionale a partire dal 2017. L’artista, dalla personalità schiva e molto religioso, nonostante il successo sopraggiunto non ha cambiato le sue abitudini, si dedica all’arte in maniera indefessa e appassionata praticando soprattutto la pittura, ma anche l’installazione, la performance e il video.

La mostra a Ginevra si apre con un’intensa e lugubre installazione Malungo (2016) Rito para uma missa preta, dove un retablo di medievale memoria, a misura umana, con figure simboliche su fondo oro, è preceduto da un altarolo con un calice e una bottiglia di cachaça a cui si accede attraverso un sentiero lasciato libero da due quadrati a pavimento ripieni di sculturine annerite di santi cattolici e orishas (santi della religione sincretica afrobrasiliana) frammiste a pezzi di carbone di legno. Candele nere e candele bianche completano la complessa e intensa installazione. Già da questa opera è evidente l’universo religioso di riferimento dell’artista, un cattolicesimo carico di emotività e sofferenza tipico dei paesi dell’America Latina e la sua ibridazione con i santi derivanti dall’Africa Occidentale dell’empireo Yoruba che si è espanso dal Benin ed è stato portato con sé dagli schiavi africani. Da una parte la religione dei colonizzatori europei, che però è stata accolta tanto che i santi africani sono accoppiati con i santi del Cattolicesimo, dall’altra la resistenza che si innerva nella storia delle violenze subite, nella memoria intrisa di sangue e sacrificio.

Antonio Obá, Dança dos meninos, 2021. Oil on canvas, 190 x 209 cm. Collection de l’institut Inhotim, Minas Gerais, Brésil

È un’arte profondamente simbolica che si serve di dettagli o di gesti isolati che donano mistero e profondità all’immagine e ricorda i dispositivi messi in atto dal Beato Angelico, che Bellini mi confida essere ammirato dall’artista. La memoria individuale si intreccia con quella collettiva e una fotografia di famiglia diventa il mezzo per simboleggiare il pane quotidiano, e forse eucaristico, mentre le bocche aperte con denti aguzzi di uno stuolo di bambini che cantano (ma sembrano urlare) ricordano una ancestrale tradizione africana in Requiem del 2019. Mentre Figura deitada (2019), un autoritratto dell’artista nudo e disteso con il coltello in mano, introduce alla costante del corpo nell’opera di Obá, qui, sotto una volta che chiude una nicchia poco profonda (forse un’architettura chiesastica), trova spazio la Natura, dominante nei suoi quadri. Il corpo, quando libero da costrizioni religiose o da fatiche, viene celebrato – come in Dança dos meninos (2021) – e diventa sensuale e libero, circondato dalla natura rigogliosa dipinta a risparmio in maniera delicata, minuziosa e sublime.

Antonio Obá, Jardim, 2022. Collection privée

Dal corpo, groviglio palpitante e sofferente di carne degli acquerelli del 2018 al corpo che evoca la famiglia, la storia personale, oppure i santi e gli antenati, la storia collettiva ancora. È un corpo con diverse epifanie, che evoca quello che Bellini giustamente chiama “il mistero”. Un’attenzione particolare quella che viene dedicata a Eshu, che nei caraibi viene chiamato Elegua: c’è il trittico a lui dedicato, ma poi fa capolino in altre occasioni. Eshu, forse il suo spirito guida, è il tramite tra sfera terrena e celeste, è un messaggero noto per aprire il cammino della vita. Può apparire come bambino capriccioso oppure come uomo o come vecchio, e accompagna la parabola della vita. Il mistero ancora, il legame con forze e spiriti che non siamo in grado di vedere, ma che con Obá incredibilmente acquisiscono corpo.

Antonio Obá, Exortação – Ya-te-veo: Bem-te-vi, 2023. Collection privée

Questo legame tra il corpo, la natura e lo spirito diventa performance documentata nel bellissimo video Encantado (2024), dove l’artista interamente rivestito da un costume-corazza, che gli copre anche il volto, tessuto con cotone grezzo, compie un viaggio immerso in un bosco, diventa un pellegrino con un bastone da rabdomante metà croce e metà simbolo di Oshu, che a tratti conficca con forza violenta nel terreno. Alla fine Obá si spoglia dei suoi abiti e rimane nudo, scomparendo e diventando tutt’uno con la selva. Ecco quei tratti di paesaggio, i rami intricati, le foglie che lasciano entrare a sprazzi la luce del sole nella penombra, i riflessi del verde nell’acqua, sono gli stessi tratti che si trovano nelle pennellate di Obá. Un cortocircuito incredibile si è come dispiegato davanti ai miei occhi tra le immagini in movimento e le sue pennellate sapienti, ad un esempio, con il quadro Exortação – Ya-te-veo: Bem-te-vi (2023), dove un cavaliere su un cavallo bianco dietro ad un intrico di rami cavalca sopra ad una terra composta da una miriade di pennellate astratte e verissime.

Antonio Obà, Partic di Danza, Collection privée

Ma c’è anche la scultura, come quella catena di zucche uncinate in bronzo, Obra em negro (Work in black), 2022, che si riferisce ad un frutto sacro nella religione yoruba e può essere usato nella divinazione, oppure l’installazione Jardim (2022), un poetico giardino dove una miriade di campanelle poste su un elastico stelo possono essere attivate dallo spettatore, che toccandole fa emettere un segnale di passaggio. Il visitatore diventa allora preda o cacciatore, a seconda dei ruoli che voglia incarnare in quel momento. Ma forse, più profondamente, quel suono lo connette misteriosamente con una dimensione altra e spirituale…

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