Sono ormai numerose le mostre, gli eventi e le opere d’arte che pongono al centro della loro ricerca i temi inerenti l’ecologia e il rispetto dell’ambiente. Agli eventi in ambito artistico corrispondono, in questo periodo storico, le ricerche scientifiche e filosofiche che cercano di dipanare il tema del rapporto tra essere umano e natura. L’attenzione a questi temi corrisponde ad un’evidente urgenza, che coinvolge tutti e ciascuno, tanto nell’esperienza personale quanto dal punto di vista sociale e politico-economico. Se moltissimi sono gli artisti che hanno preso in considerazione l’argomento, cercando di svilupparlo nelle varie possibili direzioni, è pur vero che in molti casi l’attenzione al tema ecologista rischia di suonare ridondante. Ci sono però artisti che da anni affrontano questo tipo di tematiche e la cui riflessione offre spunti di riflessione degni di nota. È questo il caso degli artisti e delle opere presenti alla mostra attualmente in corso al Castello di Rivoli.
Fino al 23 marzo la Manica Lunga del Castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea ospita la mostra Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura, a cura di Marianna Vecellio e Francesco Manacorda. Il percorso espositivo si snoda attraverso le opere di più di venti artisti internazionali, tra nomi celebri e storicizzati e altri emergenti già affermati, che hanno trattato il tema del rapporto essere umano/natura dagli anni sessanta del Novecento fino ad oggi. In mostra sono presenti opere di: Maria Thereza Alves, Michel Blazy, Bianca Bondi & Guillaume Bouisset, Andrea Caretto & Raffaella Spagna, Castor fiber, Agnes Denes, Hubert Duprat, Echinoidea, Fraxinus, Henrik Håkansson, Halobacterium, Heliconius doris, Helix pomatia, Tamara Henderson, Hypolimnas bolina, Aki Inomata, Renato Leotta, Lumbricus terrestris, Nicholas Mangan, Yiannis Maniatakos, Myscelia cyaniris, Nour Mobarak, Morpho Menelaus, Nephila senegalensis, Nerium oleander, Precious Okoyomon, Plankton, Giuseppe Penone, Tomás Saraceno, Robert Smithson, Vivian Suter, Trametes versicolor, Trichoptera, Natsuko Uchino e altri.
Il taglio curatoriale della mostra insiste sulla visione multispecie e interspecie. Le opere sono per lo più realizzate non soltanto attraverso l’azione dell’artista, ma in un rapporto di effettiva collaborazione tra questi e l’elemento naturale che dà vita all’opera. Ne nasce, così, una mostra vivente, in cui le opere sono composte da materiali vivi, trattati con il massimo rispetto e attenzione. È degno di nota che l’atteggiamento ispirato a principi di correttezza e armonia nei confronti della natura si è mantenuto, da parte dei curatori e organizzatori, persino nelle scelte logistiche, che sono state orientate al rispetto dell’ambiente e alla riduzione dell’impatto sulla natura, per esempio privilegiando il trasporto su nave, meno inquinante, o altre scelte espositive. Ne è un chiaro esempio l’opera di Nicholas Mangan, che sarà presente effettivamente in mostra con qualche giorno di ritardo proprio a causa di questa virtuosa scelta logistica.
Il titolo della mostra trae spunto dal saggio del 1902 Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione, opera nata dalla penna del padre dell’anarchismo russo Pëtr Alekseevič Kropotkin. In opposizione al darwinismo evoluzionista, che faceva dello spirito di competizione il focus della propria visione del mondo e del rapporto tra specie viventi, Kropotkin proponeva un punto di vista che oggi appare straordinariamente attuale, ispirato alla collaborazione e all’empatia. In sostanza, per Kropotkin non ha più probabilità di sopravvivere una specie capace di imporsi sulle altre, ma al contrario, è vincente il modello del dialogo, dell’ascolto, appunto del mutuo soccorso o appoggio.
È questo il linguaggio che, pur nella loro anche profonda diversità, parlano le opere in mostra al Castello di Rivoli. Sono le tracce delle mani di Giuseppe Penone, che lasciano sul tronco di un albero di noce l’impronta del proprio passaggio e insieme osservano la crescita della pianta, il suo progressivo inglobare e muoversi intorno al gesto umano. Ma sono anche i ragni di Tomàs Saraceno, che disegnano inattese architetture; o ancora i tricotteri di Hubert Duprat, trasformati dall’artista in meticolosi orafi. Sono, ancora, le piante che invadono il Corridoio che evoca quello che fu di Bruce Naumann, impedendo il passaggio dell’essere umano, nell’opera di Henrik Håkansson. Ed è, per finire, lo spazio immersivo e perturbante creato da Precious Okoyomon, abitato da meravigliose farfalle insieme protette e rese prigioniere dall’ambiente naturale fatto di piante velenose, che viene riprodotto nelle sale del museo e sul fondo del quale giace un inquietante orsacchiotto di pezza capace di urlare il proprio disagio. L’opera, che porta il titolo The sun eats her children (2024), ricorre all’esplorazione dell’ambiente naturale per riprodurre a livello simbolico temi inerenti il razzismo.
Che la mostra prenda le mosse da Penone e si chiuda con Håkansson e, in particolare, quest’opera di Okoyomon induce forse a un’ulteriore riflessione. Vista tutta la mostra, viene quasi voglia di ripercorrerla un’altra volta in senso inverso. La natura di cui facciamo esperienza nell’ultima opera esposta è lungi dall’apparire amichevole e accogliente; al contrario è ambigua, genera un effetto straniante, affascinante ma oscuro, quasi a porre un punto interrogativo, che potrebbe indurci a rileggere tutta la mostra à rebours, passo dopo passo, indietro, per provare a comprendere il non ancora detto di ciascun lavoro circa il rapporto essere umano/natura.
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