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Cercasi personale per il sistema dell’arte: la mostra di Ema Jons a Roma
Mostre
Presso lo Studio DFB, in Via Montecuccoli, 28, a Roma, fino al 28 gennaio 2024, è possibile visitare Cercasi personale, mostra di Ema Jons. Siamo nel quartiere Pigneto, in uno spazio che l’artista Alberto Di Fabio ha deciso di condividere con altri artisti, curatori e addetti del settore, per proporre svariate attività tra esposizioni, performance, residenze, talk, laboratori e appuntamenti musicali.
Così Di Fabio lo ha raccontato a exibart: «Ho aperto lo StudioDFB nel 2013 come spazio studio per artisti stranieri residenti in Italia e nel corso degli anni molti amici artisti hanno potuto lavorare nello studio con grande passione. Nel 2021, insieme all’aiuto dell’attuale direttore artistico (Mattia Andres Lombardo), il luogo si è trasformato in un vero e proprio spazio espositivo aperto a mostre, performance musicali e teatrali etc.. L’attenzione è sempre rivolta a forme d’arte che valorizzano la ricerca nel mondo della sub/cultura. In tal modo, si cerca di dare spazio a voci e pensieri al di fuori degli standard sociali che divorano il mondo della cultura e saturano spazi sempre più stretti per le nuove generazioni».
Cercasi personale, la mostra di Ema Jons
Ema Jons nasce al nord, a Como, nel 1985, ma sceglie come città d’adozione Palermo. A Ballarò e Borgo vecchio, quartiere popolare vicino alla zona portuale, dipingerà i muri con le sue visioni. In fondo, come racconta egli stesso, la sua carriera inizia come street artist all’età di sei anni, quando disegnava muri e pareti con i gessetti rubati a scuola.
Il manifesto della mostra romana è scritto in carattere stampatello e imita lo stile di annunci e flyer delle offerte di lavoro. Il titolo Cercasi personale allude poi al tipo di esposizione dedicata a un singolo artista. L’operazione e il gioco di parole cerca supporto nella citazione tratta dal prologo di Gargantua e Pantagruel di François Rabelais: «Badate bene, tuttavia, di non giudicare troppo facilmente e con estrema leggerezza ciò che il primo sguardo possa interpretare come burla, in quanto burla forse non è. Perché con tale leggerezza non convien mai giudicare le opere degli umani».
Nell’annuncio di posto vacante si anela a trovare un “fabbricante di immagini fantasmagoriche”, si offre “cieca e scapigliata professionalità, contrattazione amichevole, somme popolari, saltuaria empatia”. Sembra la descrizione del mondo e del mercato dell’arte in cui, se si vuole sopravvivere, è meglio non dare nulla per scontato e aspettarsi sempre un trattamento approssimativo, in modo tale da poter pretendere subito il rispetto dovuto. Ema Jons risponde all’annuncio dispiegando, effettivamente, una congerie di figure assortite, con forme e colori randomici, uscite fuori come conigli da un cilindro surrealista. Il suo stile, definito dal curatore Mattia Andres Lombardo «Espressionismo urbano», fonde con efficacia un tratto veloce e generoso con una tavolozza che accosta i colori per parossismi conturbanti e manie oniriche.
Il curatore sottolinea, inoltre, come i disegni di Ema Jons rispecchino la difficoltà di trovarsi in un tempo sbagliato nel quale «Volontà, possibilità, coerenza e serenità» non riescono più a coesistere. Le figure rappresentate osservano senza guardare. Le teste si ripetono con ossessione come fossero moduli base, uscite dalle matite quasi per «Timore del foglio bianco», come esercizio di catarsi e liberazione.
I corpi snodati, di gomma e senza ossa, occupano la superficie senza gravità e la palette di toni vividi li rende ancora più apparizioni aliene. Alcune teste sono incoronate da tiare mentre altre, nude e restituite in pochi segni, riflettono l’idea di anonimato, come se la medesima condizione appiattisse in un’omogeneità senza connotati l’individuo, spersonalizzando persino il suo dolore e la sua disperazione. Una schiera di umani diventano così gargoyles dai piedi di piombo o una galleria di ritratti che mescola le composizioni picassiane con la veemenza e le spigolosità della corrente tedesca Die Brücke.
La produzione risulta senz’altro prolifica: sono presenti quattro sculture in ceramica e terracotta con i piedistalli realizzati dallo stesso artista, quattro tele, 36 volti appesi, nove carte alimentari, nove piccoli cartoni dipinti incorniciati. È stata creata per l’occasione una fanzine grafica di 48 pagine con i disegni che secondo l’artista sono il risultato del cervello che va a spasso, delle idee che pascolano.