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Chì ghe pù Nissun! Enkhtur, Melilli, Pizzolante e Spolverini alla Fondazione Elpis
Mostre
“Chì ghe pù Nissun!”, la nuova mostra di Fondazione Elpis in collaborazione con Ramdom, associazione culturale attiva sul territorio pugliese dal 2011, accoglie le sperimentazioni e raccoglie le ricerche di Bekhbaatar Enkhtur (1994, Ulaanbaatar, Mongolia), Martina Melilli (1987, Piove di Sacco), Matteo Pizzolante (1989, Tricase) e Agnese Spolverini (1994, Viterbo).
«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Le parole di Cesare Pavese fanno da sottofondo a un’affermazione, in dialetto milanese, quanto mai sorprendente. È stato uno storico bottegaio di Via Orti, a Milano, ad asserire, commentando la trasformazione del quartiere di Crocetta, «Chì ghe pù Nissun!». Ma qui dove? Nella capitale mondiale della moda e del design, metropoli del Nord Italia, capoluogo della Lombardia, sede della Borsa Italiana, polo finanziario famoso e location di ristoranti e negozi esclusivi? Ebbene sì, per quanto incredibile possa sembrare agli occhi estranei, per chi c’è sempre stato e ha impresso il tempo vissuto, il cambiamento è in atto. E questo cambiamento, di cui la Fondazione è coagente, accomuna Milano e i piccoli paesi, le aree periferiche e le zone rurali.
Da una parte i processi di gentrificazione, dall’altra quelli di spopolamento. In mezzo, a fare da ponte, Fondazione Elpis, fedele alla missione e alla linea di ricerca alla base della progettualità, ovvero sostenere, promuovere e valorizzare il lavoro di giovani artisti creando nuove opportunità di crescita e visibilità (ne avevamo parlato qui). Gli artisti in mostra differiscono per provenienza, formazione e pratica, ma sono accomunati dall’aver partecipato nel corso del 2022 al programma di residenze A Sud di Marte – promosso da Ramdom in collaborazione con Fondazione Elpis presso gli spazi di KORA-Centro del Contemporaneo a Castrignano de’ Greci (Lecce). A Milano, rileggendo quest’esperienza, ognuno di loro mette in discussione il rapporto tra città e provincia in un sapiente e intimo equilibrio tra realtà e rappresentazione. Perché solo comprendendo il legame tra realtà e rappresentazione, così come dialetticamente esiste all’interno di un’opera, risulta con maggiore chiarezza che spesso ciò che si percepisce come immediato è in realtà un rapporto mediato tra esperienza e medium.
Il percorso espositivo inizia con l’installazione sonora in legno e tessuto di Agnese Spolverini, Insediamento. L’immagine di una tagliata di tufo è stampata su un tessuto che dà forma a una membrana cilindrica, un contenitore permeabile e attraversabile al cui interno si può ascoltare una composizione poetica. «Non esistono verità, sono tutti tentativi», si ode in un istante: Spolverini unisce l’esperienza personale allo studio teorico, ecologico ed ecosistemico per comprendere cosa significhi relazionarsi al mondo non solo come consumatori che sfruttano la natura ma abitandolo in una forma di consociazione. Che cosa sono le aree decentrate per chi viene dai grandi centri? Non sono paradisi per il weekend, possono essere zone di conflitto comunitario. Non sono luoghi isolati o chiusi, al contrario sono le radici che permettono una mobilità costante e una relazione, inesauribile, con tanti, tantissimi territori. Mettendo in discussione le più comuni visioni e geografie dell’abitare, Agnese abbatte la percezione impropria dell’attribuito lontano in riferimento a un luogo.
Fino a qualche anno fa, per esempio, il Sud Italia era lontano. La Puglia, oggi meta di attenzione turistica e mediatica, era lontana. La lontananza è uno spunto di lettura che offre Fountain di Bekhbaatar Enkhtur. La scultura, di dimensioni ambientali in cera d’api, collega il piano terra con quello superiore della fondazione, con la possibilità di attivarsi lasciando scorrere del vino rosso. Iconograficamente e concettualmente l’opera muove dalla cultura e dalla terra d’origine di Enkhtur, la Mongolia. Ispirata ai racconti del missionario fiammingo William de Rubruck, che dall’Europa si spinse fino alla Mongolia attraversando l’Asia in un viaggio che durò tre anni, Fountain ripropone nelle forme di un leone e di un serpente l’immaginaria fontana descritta da de Rubruck, da cui sgorgava vino per i viaggiatori in arrivo.
Al piano superiore Matteo Pizzolante presenta Aurora, un’installazione a più elementi frutto di un processo di scavo nella memoria biografica del suo territorio d’origine, il Salento. Pizzolante ha scelto di approfondire, già nel corso della residenza, l’eredità famigliare di storie e racconti legate a un albergo appartenuto a suo nonno. A partire dalle testimonianze di alcuni parenti, l’albergo Aurora, abbandonato dai primi anni Novanta, è stato ricostruito utilizzando un software di modellazione 3D da cui l’artista ha ricavato immagini che ha poi stampato in cianotipia su alcune porte. La ricostruzione digitale di Pizzoalnte diventa uno spazio fisico, grazie all’intervento tout court nello spazio architettonico, con vetrofanie e oggetti, come maniglie delle porte e portachiavi, in resina provenienti da una notte trascorsa nell’Albergo Aurora di Milano.
Attraversa invece tutti tre i piani della Fondazione l’opera di Martina Melilli, Ghostly Matters. Al piano superiore un angolo di lettura dà la possibilità di consultare alcuni libri che hanno accompagnato Melilli nella sua storia di assenze. Al piano terra, partendo dalle declinazioni mistiche legate al concetto di controra, ovvero le ore più calde del primo pomeriggio, dove le attività umane sfumano nel torpore, il tempo rallenta e si carica di suggestioni, Martina espone sette fotografie – realizzate nel corso della residenza ma mai esposte prima – in cui un fantasma si aggira per le vie seguendo le tracce della luce e dell’ombra. Non si tratta di una presenza terrificante, al contrario l’artista sceglie un filtro giocoso-antropologico immaginando altre presenze, altri possibili attori della storia. A questo proposito, lo studio di Melilli sulla memoria dell’ex lavanderia che ospita Fondazione Elpis ha coinvolto le persone che l’hanno abitata, costruendone l’identità, una medium, Cristina Pasqualini, e un metafonista, Antonio Fois, per fare emergere la memoria stratificata dello spazio scavando nelle sue dimensioni storiche. Al piano inferiore tre frasi affiorano dalle pareti in vernice fosforescente evocando un’idea di tangibilità e di contatto con altre dimensioni. Una di queste recita “Dietro ogni spettro c’è una ferita da curare”. Ma se in chiave sociologica il fantasma non è che un simbolo di ciò che si nasconde sotto il lenzuolo, un irrisolto che chiede di essere guardato, una ferita che chiede di essere curata, forse che questa ferita possa valere anche per un luogo?
Per quanto i lavori in mostra impegnino la realtà e la realtà possa essere intesa o immaginata oltre la rappresentazione, è innegabile che ognuno degli artisti abbia voluto rivelarci un approccio al territorio e allo spazio: Spolverini fisico, Enkhtur immaginifico, Pizzolante biografico e Melilli mistico. Vale davvero la pena provare a considerare realtà e rappresentazione non come opposti reciprocamente escludenti bensì come elementi che co-determinano, le persone come i luoghi.