«Impari le cose fatte con le mani. Nulla che non sia prima nelle mani» è l’emblematica citazione che racchiude il pensiero di Gio Ponti, inventore del Made in Italy che seppe portare avanti una straordinaria attività progettuale per l’intero corso della sua vita. Architetto, artista, designer e tanto altro, Ponti rivestì un ruolo di primo piano nella definizione dello stile italiano, anche grazie alla fitta rete di relazioni con artisti, industriali e artigiani, ma soprattutto grazie alla direzione di due riviste divenute storiche del settore come “Domus” e “Stile” e alla costante partecipazione a mostre ed esposizioni, come Biennali di Monza, Triennali di Milano e Italy at Work. Her Renaissance in Design Today.
La mostra al MIC Faenza, Gio Ponti. Ceramiche 1922-1967, «si inserisce perfettamente in una politica culturale volta a valorizzare le grandi manifatture del Novecento che hanno inciso in maniera importante sulla costruzione di un pensiero dedicato alla produzione ceramica in chiave innovativa e molto sperimentale», sostiene con orgoglio la Direttrice Claudia Casali, che aggiunge «Gio Ponti è stato un grande innovatore già a partire dagli anni ’20 con il lavoro svolto alla Richard-Ginori, riattualizzando quello che è stato un percorso di questa storica manifattura già attiva nel ‘700. La mostra vuole puntualizzare non solo il lavoro di designer che Ponti fece con la ceramica, ma anche il lavoro volto alla promozione di tanti artisti a lui contemporanei, per valorizzare quello che è stato il Made in Italy a partire dal secondo dopoguerra».
Il rapporto di Ponti con la ceramica inizia appena laureato: tra il 1921 – anno a cui risale un barattolo da tabacco con figure stilizzate prodotto presso lo stabilimento milanese San Cristoforo, sul fondo del quale è già presente l’inconfondibile firma di Gio Ponti e la data di esecuzione – e il 1922 giunge alla Richard-Ginori e comincia il rinnovamento del repertorio storico della manifattura proiettandola verso il nascente gusto déco. «Questa collaborazione – racconta la curatrice della mostra Stefania Cretella – determinò una rivoluzione nel campo del mondo ceramico. Nel 1923 Gio Ponti divenne direttore artistico della manifattura e riuscì nel giro di pochissimo tempo a imporre un nuovo linguaggio che permise alla Richard-Ginori di diventare una delle più importanti manifatture ceramiche a livello italiano e internazionale. I pezzi che Ponti realizzò divennero importantissimi, tanto da riuscire a vincere il Grand Prix a Parigi nel 1925. Tra questi in mostra ricordiamo la Casa degli Efebi, un monumentale otre in maiolica decorato con palcoscenici di fantasia, efebi che si arrampicano su corde su sfondi blu dal grandissimo effetto scenografico».
La mostra mette a fuoco il fondamentale contributo apportato dal nuovo direttore artistico nel corso di un decennio durante il quale, ricorda Cretella, «la manifattura ebbe la capacità di cogliere nel giovane architetto la volontà di trasformare il linguaggio artistico secondo un modello contemporaneo e Ponti ebbe la capacità di catturare l’attenzione grazie alla sua creatività». Lungo il percorso espositivo non mancano le testimonianze di come Ponti fu anche in grado di raccogliere intorno a sé un nucleo di artisti, architetti e scultori che collaborarono con lui nel progetto e nella realizzazione delle opere: da Emilio Lancia, con cui nel 1927 fondò Domus Nuova – e fu l’occasione di proporre a un pubblico borghese mobili di alta qualità su disegni di architetti realizzati artigianalmente a prezzi competitivi venduti dalla rinascente secondo il modello dei magazzini francesi – a Giovanni Gariboldi che fin dai primi anni ’30 lo affiancò, fino a diventare poi suo successore.
Da un’intera sala allestita da Ponti nel 1927 alla Biennale di Monza – resa possibile dalla collaborazione con il Castello Sforzesco – Gio Ponti. Ceramiche 1922-1967 propone lungo il percorso macro temi come mappe e mappamondi, il labirinto e le donne, testimoniando la straordinaria capacità di Ponti di fondere echi rinascimentali e manieristi con la grande tradizione classica e riferimenti alla pittura contemporanea. La mostra si conclude con una sezione dedicata all’eredità di Ponti e alle influenze che questa ebbe su autori quali Alessandro Mendini ed Ettore Sottsass, per giungere ai contemporanei POL Polloniato, Diego Cibelli, Bertozzi&Casoni, Andrea Salvatori, tra gli altri, a riprova del fatto che l’arte pontiana è un’arte senza tempo, ancora oggi leggibile e affascinante.
La mostra è accompagnata da un catalogo che si avvale del supporto dell’Archivio Ponti e dei contributi critici del curatore e di Claudia Casali, Elena Dellapiana, Matteo Fochessati, Fulvio Irace, Salvatore Licitra, Fiorella Mattio, Oliva Rucellai, Valerio Terraroli, edito da Dario Cimorelli editore.
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