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China e Terre Bianche, la proposta espositiva del Forte di Bard
Mostre
1956 e 1985 sono, rispettivamente, le date dei primi viaggi di Marc Riboud e Martin Parr in Cina, oggi seconda potenza economia mondiale dopo gli Stati Uniti, con oltre 1,4 miliardi di abitanti, e Stato più popoloso al mondo, nonché il quarto per estensione territoriale, a cui il Forte di Bard – nella sala delle Cantine – dedica China, un progetto fotografico inedito promosso da Agenzia Magnum Photos, che pone l’attenzione sulle trasformazioni sociali ed economiche del Paese a seguito dei grandi cambiamenti politici che l’hanno attraversata.
«Sul treno che mi portò dal confine di Hong Kong a Canton alla fine del 1956, cioè da un mondo all’altro, la mia prima foto cinese fu di questa donna vestita di nero, una contadina a giudicare dal suo bagaglio, mentre io pensavo fosse una ragazza di città per la sua naturale eleganza. Questa immagine si è subito sovrapposta nella mia memoria visiva ad altri abbandoni, a tutte le dignità perdute, così spesso sotto i miei occhi in Asia. Forse è per questo che come altri visitatori sono rimasto colpito dalla dignità che Mao sembrava aver restituito ai cinesi». Già, Mao. Quando Marc Riboud compì il suo primo viaggio, del resto, la Cina stava cambiando volto proprio sotto la guida di Mao Zedong e i cinesi – scoprì – non erano affatto intimiditi dall’obiettivo fotografico e grazie a questo riuscì a immortalare aspetti poco conosciuti in Occidente. Così, per esempio, degli interni di una casa – con una cucina con il bollitore dell’acqua calda appeso a un gancio del camino, un pavimento in terra battuta, pareti di fango, un letto tradizionale e il cablaggio per l’elettricità – o di una fabbrica – nella mensa gli ingegneri pranzano tenendo gli occhiali protettivi, ed è difficile distinguere gli ingegneri dagli operai – oppure la vita quotidiana, dove un soldato corre – il soldato che corre è un ufficiale, ma non c’è traccia del suo grado, come accade per tutti gli ufficiali in Cina – o dove su uno skyline di grattacieli che non ha nulla di cinese Deng Xiaoping si libra nel cielo e proclama «Dobbiamo sostenere il socialismo, la politica di apertura e il miglioramento del tenore di vita, altrimenti siamo finiti».
Negli scatti in bianco e nero di Riboud, che ha viaggiato in Cina fino al 2010, c’è la vita di tutti i giorni del popolo cinese, dal mondo del lavoro a quello del tempo libero, che anche Martin Parr ha saputo immortalare con un’efficacia straordinaria che risponde al fascino suggestivo del consumismo che ha traghettato la Cina da un’economia comunista verso il nuovo sviluppo economico moderno. Spiagge, esercizi di Tai Chi, pause pranzo al Mc Donald, auto di lusso, grandi marchi, persino un colosso fieristico come Art Basel sono protagonisti degli scatti con cui Parr restituisce la viva testimonianza di un paese profondamente cambiato nella seconda metà del XX secolo. Così cambiato che oggi «assomiglia molto a Chicago» – quali migliori esempi dell’American Dream Park, un parco a tema vagamente basato su Disneyland, realizzato a Shanghai o del Beijing World Park, che ospita (tra le repliche di molte attrazione del mondo) anche lo skyline di Manhattan?
Mentre China ci restituisce, insieme ai meravigliosi scatti, una mappa storica dei viaggi compiuti Parr e Riboud; al piano superiore, nelle sale e nei corridoi del Museo delle Alpi (e nella Cappella del Forte, con quattro gigantografie che ritraggono il Monte Rosa), Davide Camisasca racconta un altrettanto grande viaggio attraverso i suoi scatti in bianco e nero che raccolgono la sua anima di fotografo e alpinista. Terre bianche ricrea l’ambiente dell’alta montagna, coinvolgendo lo spettatore in un vortice di sensazioni che lo avvicinano all’artista. Nelle fotografie di Camisasca c’è il ghiaccio di cui vengono ritratte le geometrie fino a creare delle immagini che possono dirsi astratte; c’è il Monte Bianco, con delle vedute spettacolari e drammatiche, in una parola sublimi; ci sono le terre lontane del Mustang e del Tibet, raccontate attraverso le popolazioni, la sacralità dei luoghi e gli sconfinati orizzonti; e c’è il Monte Rosa, il massiccio maggiormente rappresentato, è la montagna di casa che Camisasca ha percorso e ritratto per tutta la sua vita. All’interno della selezione oltre 60 scatti, trovano spazio anche i lavori più recenti in cui il paesaggio, magnificamente bianco, appare punteggiato da minuscoli alpinisti in cordata, evocativi, silenziosi e suggestivi, capaci di riflettere le paure e i desideri, le delusioni e i sogni che affidiamo alla tenace, e forte, e affascinante montagna.