Un dialogo. Storia e contemporaneo si intrecciano nei diversi piani di Palazzo Grassi. Edward Steichen, Berenice Abbott, Cecil Beaton, Lee Miller, André Kertész, Horst P. Horst, Diane Arbus, Irving Penn, Helmut Newton, tra i fotografi, Eduardo Garcia Benito, Helen Dryden e George Wolfe Plank, tra gli illustratori, riportano in vita il 20° secolo, tra sogni e tragedie.
Una selezione di quattrocento alcune inedite, emblematiche nella loro portata evocativa, che rappresentano solo una minima parte dell’eccezionale archivio Condé Nast, che vanta alcune delle fotografie più importanti della nostra storia recente. Sono immagini catturate da molti fotografi, alcuni famosi, altri sconosciuti, altri ancora dimenticati, che ci ricordano che è impossibile scindere la moda dall’arte, dal teatro, dalla danza, dall’architettura e dalla realtà urbana.
150 tra i più grandi talenti del Novecento raccontano scatto dopo scatto eventi, personalità, fenomeni, che lo hanno segnato, attraverso immagini che non hanno solo definito l’estetica fotografica ma anche quella di arte e moda del tempo in cui viviamo. Le loro pubblicazioni, della casa editrice statunitense Condé Nast, che pubblica alcune fra le riviste più note dell’editoria mondiale, tra cui Vogue, Vanity Fair, House & Garden, Glamour, GQ, riportano lo spettatore nel vivo del secolo scorso.
«Il giornalismo è arte? Certamente. Ma le fotografie delle riviste sono anche qualcosa di leggermente diverso dall’arte e per questo mi appaiono tanto coraggiose. Raccontare il tempo in cui si vive non è sempre facile. Chi è importante? Cosa è rilevante in questo momento? Cosa sta succedendo davvero? Le risposte possono dare adito a dibattiti infuocati.» come spiega Anna Wintour, chief Contenent Officer di Condé Nast e Global Editor Director di Vogue.
Una sontuosa selezione di ritratti, dove i soggetti sono sospesi in un’eterna gioventù, che si tratti di Jasper Johns, Virna Lisi o di molti altri ancora. Anche quando la fivolezza sembra diventare centrale permane una sensazione di precarietà inesorabile che pare riflettersi negli occhi di certe modelle o in quelli di un giovane Karl Lagerfeld immortalato da Helmut Newton.
Genio e coraggio, è ciò che evocano queste fotografie, in una lezione di storia fatta dai più grandi fotografi del nostro tempo, una lezione che non è scritta su manuali di scuola ma sulle pagine delle più influenti riviste, notizie commissionate dai direttori e lette da un pubblico tanto vasto quanto vario. E quindi il coraggio, lo scegliere una persona rappresentativa di un’epoca, un abito, un edificio, un oggetto, per descrivere la società in cui viviamo.
Un invito all’introspezione rivolto ad un Occidente che non solo ha riconosciuto il potere dell’immagine ma è arrivato a creare il proprio linguaggio.
«Se il XIX secolo è stato l’ultimo baluardo della civiltà di cui è portatrice la parola scritta, il XX è presto divenuto il secolo dell’immagine. Così, tempo e immagini sono diventati inseparabili. Oggigiorno la fotografia sembra essere sul punto di perfezionare un processo di estrema democratizzazione che la rende accessibile, immediata e gratuita, e in cui la collusione tra immagine e osservatore è tutto. Questa mostra ci permette di rivivere quella che potremmo definire l’età d’oro della fotografia come forma d’arte. In un’epoca in cui ogni minuto vengono creati milioni di immagini, condivise poi all’istante,«Chronorama» riveste un ruolo di grande importanza, un ruolo di trasmissione all’attuale e alle future generazioni.», come sottolineano Matthieu Humery, consulente per la fotografia presso la Pinault Collection e Andrew Cowan, consulente storico per «Chronorama».
Artisti con uno sguardo così all’avanguardia che non necessitano nessuna rinnovazione per dialogare con il contemporaneo.
Le sale di Palazzo Grassi sono allestite con un percorso cronologico, presentato per decadi, dal 1910 fino alla fine degli anni Settanta, curato da Matthieu Humery, consulente per la fotografia della Pinault Collection, all’interno del quale irrompono i lavori di Tarrah Krajnak, Erik N. Mack, Giulia Andreani e Daniel Spivakov, in quattro spazi espositivi diversi.
Lavori che fanno parte di«Chronorama Redux» un progetto che propone non solo di esplorare un rapporto, quello tra tempo e immagini, sempre attuale, ma anche di proporre uno sguardo contemporaneo sulle opere in mostra.
Quattro artisti, quattro orizzonti, quattro opere diverse. Accumunati da una relazione che intrattengono con l’esistente, la memoria visiva e sensibile del passato. Tutti, a modo loro, interpretano l’acquisizione fotografica attraverso una singolare espressione artistica, senza essere fotografi, solo Tarrah Krajnak pratica la fotografia come metodo artistico.
Ed ecco che l’atto fotografico diventa uno strumento da sfruttare, Daniel Spivakov introduce la fotografia sulla sua tela, come un supporto simbolico all’esplosione cromatica che fa scaturire dalla pittura. Giulia Andreani usa vecchi album di famiglia o archivi, come fonte di ispirazione per i suoi affreschi popolati di personaggi. Infine Eric N. Mack prende in prestito immagini che raccoglie dalle pagine delle riviste e le integra con le sue sculture tessili, in una serie di riferimenti più vicini alla moda.
Un percorso in cui lo spettatore è accompagnato sia da una guida cartacea che da un podcast di Palazzo Grassi e Chora Media, in tre episodi ed in tre lingue che racconta «CHRONORAMA. Tesori fotografici del 20° secolo».
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