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Clemen Parrocchetti. A Bolzano la storia della donna, criticata e scusata (se del caso), ma mai commiserata
Mostre
Rocchetti, siringhe, spilli, utensili da cucina, vagine, a simboleggiare l’universo femminile e gomitoli di filo, a simboleggiare invece l’universo (sessuale) maschile. È questo il mondo, iconografico, di Clemen Parrocchetti, che con i mezzi più semplici e più modesti, per mezzo dei suoi oggetti di cultura femminile, ha raccontato – e continua a farlo, attraverso la sua opera – la storia della donna, criticandola e scusandola, ma mai commiserandola anzi «invitandola a reagire, sollevarsi e a scompaginare le regole del gioco…».
Le sue parole «Voglio conoscere il mio cuore, voglio conoscere la mia storia, voglio conoscere me stessa, attraverso cuori, bocche, occhi, spirali, imbottiture: un labirinto imbottito» risuonano, forti e vitali, di fronte a Barriere (1978): una struttura in legno con bocche rosse, e bocche nere, con rocchetti, bottoni, puntaspilli e nastri, che apre À JOUR, la prima mostra istituzionale dedicata all’artista, ora in corso da Ar/Ge Kunst con la curatela di Marco Scotini, Francesca Verga e Zasha Colah.
L’opera – esposta nella Galleria di Porta Ticinese a Milano proprio nel 1978 nella mostra Mezzocielo, insieme alle Barriere di Milli Gandini, Mariuccia Secol e Maria Grazia Sironi – rivolge a noi un doppio invito: riconoscerle, le barriere, perché sono tante, anche non identificabili, mascherate da privilegi, e passare attraverso. Attraverso come? Attraverso cosa? «Le barriere: passare attraverso rocchetti navette bottoni passare attraverso bocche rosse e nere passare attraverso anelli e veli da sposa passare attraverso nastri di femminilità passare attraverso bellezza ricchezza sicurezza passare attraverso tenere mani di bimbi passare attraverso un uomo innamorato e gentile passare attraverso devote medaglie dell’infanzia passare attraverso un triangolo rovesciato… passare attraverso la comprensione per tutti passare attraverso la solitudine passare attraverso l’emancipazione passare attraverso il collettivo passare attraverso il piacere di stare assieme… passare attraverso la difficoltà di stare assieme passare attraverso mete: per liberarmi». Questo testo, scritto da Parrocchetti ed estratto dal catalogo della mostra milanese, offre l’opportunità di andare incontro alla figura di un’artista che, proprio negli anni di fervore delle battaglie femministe, ha utilizzato strumenti e metodi del lavoro domestico per prendere posizione politica riguardo le questioni più dibattute a livello teorico nel movimento.
Parrocchetti condivise la sua responsabilità con il Gruppo Immagine di Varese – nato nel 1974 per volontà di Milli Gandini, Mariuccia Secol e Mirella Tognola (e che successivamente si ampliò con le adesioni sua e di Mariagrazia Sironi e Silvia Cibaldi) – che fin da subito si caratterizzò per l’impegno sul doppio fronte della militanza civile e della riflessione artistica nella battaglia per la ridefinizione del ruolo della donna. Il titolo della mostra, À JOUR, gioca proprio sul significato del termine francese che richiama la tecnica del ricamo eseguito estraendo fili della trama di un tessuto in modo da produrre una leggera trasparenza: l’orlo a giorno, appunto, che non solo indica il lavoro femminile domestico costante che si ripete, la rielaborazione delle barriere che la donna-artista deve superare quotidianamente, ma anche rende manifesta la condizione stessa della donna nella sua lotta contro la subordinazione patriarcale.
Un ricamo su una lastra di alluminio datato 1973 – Manifesto Promemoria per un oggetto di cultura femminile – ci lascia in eredità proprio questo: «PRO MEMORIA. Per un oggetto di cultura femminile composto di rocchetti spolette e tessuti vari liberamente ricamati con fili e nastri cuciti su lastra incapsulata in latoplex denuncia della condizione della donna tuttora sotto proletariato per richiamare l’attenzione sul problema razziale discriminatorio donna cucitaci donna punta spilli donna materasso per le botte infine donna oggetto». Dal ruolo subalterno della donna all’aborto, dal divorzio alla violenza domestica, fino alla liberazione sessuale, non c’è niente di cui Parrocchetti non si sia fatta portavoce: Peccato Originale, Occhio alla mercificazione sono i titoli di alcuni assemblaggi esposti alle pareti che perimetrano la stanza di Barriere; Per Ulrike Meinhof (giornalista e rivoluzionaria tedesca, cofondatrice della Banda Baader-Meinhof) sono una serie di disegni esposti nel percorso; Opposizione alla violenza, Speranza di parità, Liberazione e Lamento del sesso sono altri lavori, tutti degli anni ’70, e sono rispettivamente con spolette e rocchetti con applicazioni e tessuti ricamati su stoffa e cuciti su lastra di alluminio neutra o su tavola di legno e gommapiuma rivestita in stoffa e applicazioni polimateriche.
La mostra, che conta su un approfondito apparato critico in cui sono raccolti cataloghi e interventi di Parrocchetti, si completa con un’importante opere su tela come Tagliatrice di Teste (1969) e A proposito dell’amore (1969), che dimostrano una ben matura capacità di riconoscere il proprio corpo ingabbiato nella vita domestica e il suo desiderio di liberazione: due assi che danno forma alla matrice di una relazione fondamentale che permette di collocare, e anche di comprendere storicamente, l’attualità dell’opera di Clemen Parrocchetti, nei cui collage, pitture, disegni, tele, interventi e ricami su carta e stoffe desiderio e perturbante sono sempre stati presenti per il superamento dell’oppressione sociale e politica della donna.