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Corpi, sfinimenti, isterie: la plaga del ballo in mostra alla GAMEC
Mostre
di Paola Tognon
Il ballo, in epoca pandemica, si riaffaccia alle nostre menti e alle nostre ricerche come argomento e pratica di grande interesse. Forse perché quella pratica – collettiva, infinita, pieno di contatti e su una dimensione temporale illimitata, accanto al battito, al buio, all’intermittenza, alle centinaia e migliaia di persone che assorbono un ritmo che coinvolge la mente e il corpo – si compone di elementi apparentemente perduti che bussano alla nostra porta. Proprio questo è il tema che il curatore greco Panos Giannikopoulos ha portato alla GAMEC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, con la mostra “Dancing Plague”, progetto vincitore della XI edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize, con le opere di Benni Bosetto, Ufuoma Essi, Klaus Jürgen Schmidt, Lito Kattou, Petros Moris, Eva Papamargariti, Konstantinos Papanikolaou, Mathilde Rosier, Michael Scerbo ed Elisa Zuppini.
Per iniziare, un plauso a un premio sulla ricerca curatoriale internazionale che un’istituzione italiana costruisce da molti anni grazie a un partner che si conferma nel tempo solidale alla ricerca. Occasione per ricerche che registrano tensioni e riflessioni contemporanee secondo sguardi liberi e intraprendenti. Come in “Dancing Plague”, dove il curatore greco Giannikopoulos, attivo nella Stavros Niarchos Foundation Artist Fellowship Program of ARTWORKS, ha lavorato sul dialogo tra la storia europea post medievale, le problematiche del colonialismo e la recente esperienza della pandemia. Molto interessante, in questa disamina, è proprio il punto di partenza che è anche il titolo della mostra: la “Piaga del ballo” che è il termine impiegato per descrivere un fenomeno sociale verificatosi in Europa tra il XIV e il XVII secolo, quando, in una sorta di isteria collettiva, gruppi di persone ballarono ininterrottamente in uno stato di trance per intere settimane e, allora come ieri, con la narrazione di partecipanti che crollavano per sfinimento e cedimenti mortali.
La scelta degli artisti corrisponde a questa ricerca che coraggiosamente si addentra nel tempo: diversi negli esiti e nei media, le opere compongono un progetto espositivo inquieto e disorientante, fuori da omologazioni per occhi esperti e capace di attrarre interessi e affinità differenti. La teoria queer e le pulsioni di morte, la danza come mezzo per creare identità e resistenza culturale per i corpi meno privilegiati, il movimento degli organi essenziali e degli arti trasformato in linguaggio…più in generale, la danza come prassi interlinguistica che abbatte i confini sociali è l’esperienza che si vive nella visita allo Spazio Zero della GAMeC
Segnalo, tra le altre, le opere di Benno Bosetto per le evocazioni fluide e primordiali di esseri e movimenti e, con energia distinta, il lavoro di Klaus Jürgen Schmidt che raccoglie, in forma centripeta e intima, volti e sguardi presi a prestito da accadimenti lontani.
“Dancing Plaugue” si chiude domenica 29 maggio con un finissage speciale da non perdere: la performance degli artisti Konstantinos Papanikolaou, Michael Scerbo ed Elisa Zuppini.