Turi Rapisarda, I mille, Sei di mille, 1992, 6 fotografie da negativo analogico, Courtesy Turi Rapisarda
Qualche giorno fa si è inaugurata da Flashback. Ecosistema per le Culture Contemporanee di Corso Giovanni Lanza, a Torino, un’interessante mostra collettiva che proseguirà fino al prossimo 27 luglio, dal titolo Fondato sul lavoro. Il titolo è già profondamente indicativo del tono in cui la mostra sviluppa il tema del lavoro, che è, naturalmente, al centro dell’esposizione. Viene subito in mente il primo articolo della Costituzione Italiana ma ci accorgiamo che la frase è qui declinata al maschile. Non stiamo quindi parlando della Repubblica Italiana, fondat-a sul lavoro ma di qualcos’altro. Questo qualcos’altro è l’essere umano, la persona. Fondat-o sul lavoro è, allora, l’individuo, con il suo modo di stare al mondo e di partecipare al contesto sociale e storico a cui appartiene. Con tutte le conseguenze, buone e cattive, che questo può comportare, sia sul piano economico che sociale, politico e, non da ultimo, esistenziale.
La mostra si compone di una serie nutrita di opere, che spaziano, come nella migliore tradizione di Flashback (a cui fa capo la fiera che ha fatto proprio il motto che fu di de Dominicis, come sappiamo, per cui l’arte è tutta contemporanea) tra diversi secoli e luoghi geografici. Ci sono opere recenti e contemporanee di artisti, torinesi e non, viventi e operativi sul territorio, ma anche un Guttuso, opere della tradizione antica giapponese, un vaso antico di epoca attica e molto altro ancora.
La mostra nasce da un’idea di Francesco Sena, presente in mostra con una suggestiva installazione, ed è curata da Alessandro Bulgini, anche lui presente con un trittico che tratta dell’alienazione sul posto di lavoro, in particolare con una riflessione sui worker giapponesi di qualche decennio fa. I testi sono di Ginevra Pucci.
Gli artisti in mostra, tra pittura, fotografia, installazione, video e manufatti d’epoca, sono: Turi Rapisarda, Lorenzo Viani, Esemplari filatelici, Gianluca e Massimiliano De Serio, Luca Vitone, Anonimi Carcerati Indiani, Sandro Mele, Antico Ceramista Attico, Santiago Sierra, Ceramista Cina Dinastia Yuan, Pierfrancesco Lafratta, Carlo Fornara, Giuseppe Santomaso, Artista Cina Dinastia Ming, Alessandro Bulgini, Gerhard van Steenwijck, Giuseppe Pennasilico, Domenico Antonio Mancini, Leonard D. Abbott e Helen G. Haskell, Igor Grubic, Renato Guttuso, Ottavia Brown, Arcangelo Sassolino, Cosimo Calabrese e il già citato Francesco Sena.
Se Turi Rapisarda riflette sui lavoratori immigrati dal sud Italia, Francesco Sena sposta l’attenzione sull’interiorità della persona e sul rapporto conflittuale tra contesto e situazione psicologica dell’individuo. I fratelli De Serio riflettono sul caporalato, il quadro di Guttuso mette al centro la figura di una sex worker, mentre l’opera di Cosimo Calabrese sull’Ilva fa da contraltare, in una strana dialettica visuale, al racconto bucolico di Pierfrancesco Lafratta.
Attraverso le varie opere e i diversi media espressivi e artistici, spaziando tra differenti epoche storiche, la mostra si propone così come una riflessione su uno dei temi cruciali della nostra e di tutte le epoche. Il lavoro è visto nelle sue diverse espressioni e sfaccettature: dal precariato del lavoro intellettuale e creativo allo sfruttamento nel caporalato, dai sex workers fino al tema delle fabbriche e del loro rapporto controverso con il territorio che le ospita. Esempio fra tutti, per quest’ultimo tema, quello dell’Ilva di Taranto (sono presenti in mostra ben tre artisti tarantini). Interessanti gli accostamenti, non banali, tra opere d’arte antiche, moderne e contemporanee.
Insomma, cambiano i linguaggi, i temi e le riflessioni ma comune a tutte le opere è la centralità del lavoro nella vita delle persone di tutti i secoli. Il lavoro è da sempre insieme un modo per esprimersi e per partecipare al contesto sociale e al contempo, purtroppo troppo spesso, un tema carico di problemi, in cui il rispetto della persona e dei suoi diritti inalienabili così come uno sviluppo armonico con il territorio e il contesto naturale, scivolano sullo sfondo rispetto agli interessi economici.
Nel corso dei secoli, il lavoro inteso come fare e creare con le proprie mani qualcosa di duraturo e personale, oppure di fornire un servizio utile alla società, viene via via sostituito da un concetto diverso e ben più alienante, in cui a far da padrone sono le leggi del mercato, del vendere più che del fare e del creare. Da ciò (anche) il tema dell’alienazione, della progressiva perdita di senso e di rispetto della vita umana, tanto nei suoi aspetti personali e psicologici e nel rapporto con l’ambiente naturalistico e urbano, che gli artisti interpretano e commentano con le loro opere e riflessioni.
Viene in mente il giovane Charlot di Tempi Moderni ma la mostra ha il pregio di portare l’attenzione su un tema fondamentale, in profondo mutamento nell’epoca in cui viviamo, su cui nasce l’urgenza di fermarsi a riflettere in modo non banale. Certo sulla scorta delle importanti riflessioni filosofiche e politiche novecentesche, ma con lo sguardo rivolto al nostro presente e al nostro futuro condiviso.
E poi la domanda, come diceva qualcuno, sorge spontanea. Che ruolo ha l’artista in questo contesto? È un lavoro, il suo? E in che senso? Alla fine del percorso espositivo, l’idea che emerge è che ruolo dell’artista sia proprio quello di mettere in discussione, di portare l’attenzione su quello che accade, non solo registrando i mutamenti in corso, ma interpretandoli con il linguaggio universalmente efficace e straordinariamente potente delle immagini.
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