Fino al prossimo 22 aprile a Torino, presso lo spazio espositivo di Quartz Studio di Francesca Referza, è proposta al pubblico una mostra personale di Scott Myles (Dundee, Uk, 1975) dal titolo Potential for a wish (as yet unmade). La mostra presenta unâinstallazione site specific realizzata dallâartista appositamente per Quartz; unâopera su carta di grandi dimensioni ed alcune piccole opere a parete tra pittura, lavoro concettuale e intervento gestuale.
Scott Myles è unâartista con alle spalle unâampia esperienza espositiva. Vive e lavora a Glasgow, nel Regno Unito ma, come testimoniano le opere esposte in mostra, vive molto da vicino lâambiente artistico statunitense, con tutto il suo carico di ricchezze, fascino, glamour e contraddizioni. Myles lavora ricorrendo a vari media espressivi, che vanno dalla pittura alla scultura, alla serigrafia, fino alla realizzazione di opere site specific e veri e propri libri dâarte. Ma qualsiasi sia il medium prescelto al centro del suo lavoro è sempre la dimensione del gesto: in qualche modo, ogni volta diverso, lâopera rimanda sempre a una sorta di azione performativa collocata temporalmente prima dellâesposizione vere e propria, attingendo nel contempo ad un variegato vocabolario storico-artistico. Le opere sono infatti sempre pensate e realizzate utilizzando tecniche o suggestioni di vario tipo che rimandano alla storia dellâarte contemporanea, fin dai suoi albori negli anni sessanta e settanta, senza disdegnare la tradizione orientale, in particolar modo giapponese.
Lâaspetto critico rispetto allâartworld statunitense, e in piĂš in generale lâattenzione alla dialettica non sempre virtuosa tra mercato nel senso stretto e finanziario del termine e progettazione artistica concettualmente rilevante, emerge forse in modo particolare dalle piccole opere a parete realizzate utilizzando reali dollari e quarti di dollaro. Il denaro è âoperatoâ, per cosĂŹ dire, dallâartista sovrapponendo ampie pennellate di colore, volutamente disordinate, oppure letteralmente sottoponendo le monete a una sorta di schiacciamento, fino a farle apparire come quelle usate dai ragazzini ribelli, che osano sfidare il tempo e la fortuna lanciando monetine sotto le rotaie dei treni in corsa. Alla fine del procedimento, i dollari sono colorati con grandi gesti improvvisi e inquieti, le monete appaiono irriconoscibili. Il denaro torna cosĂŹ, dalla sua dimensione reificata di scambio e di valore sempre traslato al di lĂ di se stesso, ad una qualitĂ oggettuale e fisica che ne rivela lâessenziale inconsistenza. I soldi, in parole povere, tornano ad apparire per quello che sono: oggetti comunque potenzio inflativi, cui si attribuisce un valore che non riposa in loro stessi. Nella dimensione artistica ed espositiva, però, il valore di quegli stessi oggetti, però paradossalmente si moltiplica in modo esponenziale, andando ben oltre il singolo dollaro o quartino, trasfigurandoli e creando un vero e proprio sfasamento concettuale che induce alla riflessione.
In mostra, lâopera che piĂš salta agli occhi è forse il lavoro site specific dal titolo Rope, realizzato in sei tele. Si tratta di un lavoro concepito come potenzialmente modulare, adattabile quindi a spazi potenzialmente sempre diversi e infinitamente variabili. Lâopera rappresenta una corda vista talmente da vicino da essere ridotta alla sua struttura portante di movimento a spirale. Simile alla colonna continua di Brancusi, ma evocando anche le fughe del primo Cattelan al Castello di Rivara nei primissimi anni â90, lâopera si presta ha letture molteplici e sovrapposte. Da un lato è in gioco il tema della fuga, che si declina in una ironica presa in giro dellâartworld ma, dallâaltro, lâimmagine della corda rimanda a una potenziale situazione drammatica e depressiva. Il titolo dellâopera, Rope, è lo stesso di un film di Hitchcock del 1948, noto in Italia con il titolo di Nodo alla gola. Nel film due universitari uccidevano un giovane collega, esercitando poi una sorta di fascinazione nietzschiana e delirio di onnipotenza nei confronti degli invitati a un macabro cocktail casalingo. Il film si svolgeva interamente in un interno ed era realizzato con una telecamera continua, seguendo cosĂŹ visivamente, nella ripresa, lâandamento continua a spirale della corda. Qualcosa di analogo capita con questo lavoro di Scott Myles: la corda ha in sĂŠ insieme il senso dellâironia, della continuitĂ e il rimando a realtĂ indicibili e scottanti.
Lâallestimento si completa poi con unâopera pittorica e una a parete realizzata totalmente in carta, che rappresenta una macchina lanciata in una folle corsa, o meglio la traccia visiva che un veicolo velocissimo lascia nella memoria retinica di chi lo vede sfrecciare. Anche qui la simbologia è chiara ed espressa con tratti rapidi di pensiero piĂš ancora che di colore. E il colore, infatti, appare un arancione fin troppo vivace ed uniforme, con lâeccezione di due tondi bianchi che rappresentano le ruote dellâautomobile in corsa.
La mostra, apparentemente di semplice lettura, si rivela cosĂŹ altamente complessa dal punto di vista concettuale e della costruzione del pensiero che soggiace ogni singola opera.
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