Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol è una mostra che trasporta nella storia dell’arte, raccontando tra le righe le vicende politiche delle casate che hanno regnato nella penisola durante gli ultimi secoli. La storia inizia con Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese regina di Spagna. Il 1734 è l’anno in cui il giovane re conquista il trono napoletano, allontanando gli austriaci, grazie all’appoggio diplomatico della madre. È da lei che eredita l’importante collezione d’arte dei Farnese che verrà successivamente trasferita a Napoli, capitale del nuovo Regno. Nel 1738 inizia la costruzione del Palazzo Reale di Capodimonte, allestendo in un’ala della residenza l’intera collezione farnesiana.
Nel frattempo alla corte sabauda sono invitati alcuni dei più influenti maestri napoletani, come Francesco Solimena (1657 – 1768), Sebastiano Conca (1680 – 1764), Corrado Giaquinto (1703 – 1766) e Francesco De Mura (1696 – 1782). La prima parte della mostra è dedicata a questi artisti, arricchendosi di alcuni prestiti dai Musei Reali di Torino. Ne è un esempio la tela “La cacciata di Eliodoro dal Tempio di Gerusalemme” (1723), di Solimena, copia del grande e teatrale affresco della controfacciata della Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, realizzata appositamente per Vittorio Amedeo di Savoia.
Il più antico dipinti della collezione in mostra alla Reggia di Venaria è La crocifissione (1426) di Masaccio (1401-1428). Il quadro comunica una forte carica emotiva e mostra un interesse del pittore per l’anatomia dei corpi. In questa tela non è ancora presente la prospettiva, lo sfondo è completamente dorato ponendo una distanza con il mondo reale. Ma è proprio dal Quattrocento che l’arte inizia a voler rispecchiare il mondo, segnando una rottura con il medioevo. Uno dei più importanti pittori napoletani del Rinascimento è Niccolo Antonio Colantonio (1420-1460). Nell’opera San Girolamo nello studio (1445-1447) numerosi tomi sono dipinti minuziosamente, insieme a tutti gli oggetti posizionati disordinatamente nella stanza del santo. Colantonio usa la prospettiva trasportando l’osservatore all’interno della scena, mentre nel frattempo lo sguardo vigile e serio del leone a cui sta estraendo la spina dalla zampa dolorante, sembra fissare profondamente negli occhi di chi lo guarda.
La ricchezza delle tinte di Giovanni Bellini (1427-1516) si manifesta con il capolavoro della Trasfigurazione (1478-1479). La tela del maestro veneto offre un rigoroso studio degli elementi del paesaggio. La scena ritrae il momento in cui il profeta rivela la sua natura divina a Pietro, Giacomo e Giovanni. Sempre della scuola veneta, sono diverse le tele del suo allievo Tiziano (1485?-1576). Oltre agli importanti e maestosi ritratti di Paolo III e del Cardinale Alessandro Farnese, la mostra offre l’occasione di ammirare Danae (1544-45), tratto dalla Metamorfosi di Ovidio. Il corpo della fanciulla, avvolto parzialmente da un candido drappo, viene bagnato dalla pioggia d’oro, trasmutazione di Giove, esprimendo allo stesso tempo erotismo e pudore. Il quadro è stato dipinto per il cardinale Alessandro Farnese.
Uno dei ritratti migliori eseguiti da Lorenzo Lotto (1489-1556-57) è quello di Bernando de’Rossi. Lo sguardo intenso del soggetto, dipinto a tratti precisi e realistici, dimostra la singolare abilità del talentuoso pittore veneto, a cui però non venne attribuita l’importanza dovuta. Non mancano alcuni dei capolavori di Parmigianino (1503-1540), come Ritratto di giovane donna (detto “Antea) (1535), allegoria della bellezza ideale che è divenuta l’immagine simbolo della mostra. Lucrezia (1540), è il profilo statuario di fanciulla dai capelli così realistici che sembrano veri, realizzati con una minuzia che sbalordisce per la sua perfezione.
Sposalizio mistico di Santa Caterina (1585) è forse il dipinto con cui Annibale Carracci (1560-1609) ha esordito, usato come biglietto da visita per la commissione di nuovi lavori. Il pittore ritrova la semplicità e la bellezza, perduta durante l’ondata manieristica, e restituisce alla scena sacra un’autentica interpretazione. Il bolognese Guido Reni (1575-1642), aderisce alla corrente di Carracci, raggiungendo una notevole fama, così come il suo maestro. La maestosa tela Atalanta e Ippomene (1620-1625) è un capolavoro che ritrae con grazia ed eleganza il dinamismo della scena. I due giovani stanno correndo e Ippomene distrae la donna donandole tre pomi d’oro raccolti nel giardino delle Esperidi.
Oltre ad alcune spettacolari opere della nota Artemisia Gentileschi (1593-1654), quali l’Annunciazione (1630) e Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613), in mostra una grande tela della pittrice Angelika Jaufmann (1741-1807). Si tratta del Ritratto della famiglia di Ferdinando IV (1782-1784), oltre 4 metri di larghezza. Il trono di re Ferdinando IV e della regina Maria Carolina fu uno dei più longevi del regno napoletano. La famiglia è dipinta in un paesaggio rigoglioso in stile inglese.
Nell’Italia del Settecento il genere del vedutismo inizia ad occuparsi di paesaggi e città. Proprio tra il 1770 e il 1790 il Vesuvio è in piena attività e pittori come Pierre Jacques Volaire (1729-1799) ritraggono l’eruzione del vulcano, proponendo inquadrature angolari in cui la lava rossa contrasta con i riflessi blu del mare. La mostra si conclude con Vesuvius (1985) di Andy Warhol (1928-1987), una sgargiante serigrafia pop del vulcano che erutta in maniera esplosiva, comunicando una sensazione di pericolo.
Nel percorso espositivo è inoltre presente una selezione di piccole sculture realizzate nella Real Fabbrica della porcellana di Capodimonte, datate al 1750 circa.
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